I briganti di Mazzaruto
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I  BRIGANTI  DI  MAZZARUTO

          L’Etna è stato definito un fantastico  laboratorio della natura dove si intrecciano storie umane, miti leggende, dove la vita delle sue creature animali e vegetali segue il suo percorso di naturale straordinarietà pari solo a se stessa.

          Su questo territorio che si estende sino ad intrecciarsi con le fredde acque del fiume Alcantara,  sono state censite diverse grotte di origine vulcanica, la cui formazione ha seguito di pari passo le manifestazioni eruttive del vulcano che attraverso le sue colate ha prodotto queste cavità naturali, dove il tempo pare si sia fermato.  

          Sin dall’alba del mondo sappiamo che le grotte hanno sempre rappresentato dei veri e propri misteri e la storia antica e recente dell’uomo è ricca di fatti inspiegabili e non comuni.  

          Forme di paure ancestrali dell’immaginario collettivo, rappresentate da demoni e spiriti maligni, abitanti delle viscere della terra, si sono intrecciate con le fantasiose storie leggendarie di maghi, divinità, esseri demoniaci, tesori nascosti (truvature) e briganti i quali sono stati i veri  soggetti di fantastiche vicende. 

          All’interno della Valle del fiume Alcantara, in territorio di Castiglione di Sicilia, quasi al confine territoriale con Randazzo, vi è una vasta spianata lavica chiamata “Le sciare di Mazzaruto”. Questo comprensorio fù interessato in epoche preistoriche e protostoriche, dal passaggio a più riprese di alcune imponenti colate laviche generate da fessure eruttive, verosimilmente apertesi a bassa quota. Dopo avere coperto di fuoco rigogliosi boschi, le lave invasero il letto del fiume, ne hanno ostruito e modificato il suo percorso e a causa della loro straordinaria fluidità, si riversarono  nel mare di Giardini Naxos,  generando Capo Schisò. Le “Sciare di Mazzaruto” presentano una serie di pietroni più o meno grossi, con un incavo nella parte superiore, che le fa somigliare a grandi trugoli, e che  il popolo ritiene servissero ad abbeveratoio ai cavalli di un certo numero di briganti, che qualche secolo addietro abitavano in una grotta ivi presente, che non si è più potuta scoprire, ma che certamente deve aprirsi in quel piano. Audaci e feroci, questi briganti non cessavano di devastare i paesi vicini, tra l’Etna e il fiume Alcantara, ed una volta, anzi, spintisi sino a Novara di Sicilia, rubarono l’unica figlia del barone locale e portatala nella loro grotta ve la chiusero legata ad un anello infisso nella parete, di fronte ad un giovane muratore, che tenevano là dentro per le possibili riparazioni che la grotta richiedeva.

          Inutili furono le pratiche del povero padre per avere la figliola; tutte le offerte quei briganti rifiutarono, ed anzi, quasi ad aggiungere scherno all’offesa e per dimostrare che non avevano paura di nessuno, un giorno gli si presentarono vestiti da mietitori e gli si offersero per i lavori della stagione. Furono però conosciuti e senza che essi ne sapessero nulla, il barone seppe che i pretesi mietitori erano i ladri della sua figliola, sicché poté dare certe disposizioni.

          Fingendo di ascoltare e di accogliere le loro proposte, egli li inviò uno ad uno, per un piccolo corridoio, nella stanza dell’amministratore, che doveva prender nota dei loro nomi, e dare un acconto. Ma nessuno pervenne in quella stanza: un trabocchetto che si apriva nel corridoio li ingoiò dal primo all’ultimo e tolse al mondo tanti scellerati.

          Si cercò allora di rinvenire la grotta per riavere la baronessa, ma non vi riuscì e gli anni passarono e quella povera fanciulla col suo compagno vi morirono certamente d’inedia, perché non se ne ebbe più notizia, ed il barone dovè chiamarsi pago di avere vendicato la figliola che non aveva potuto ricuperare.

          Parecchi anni addietro, un pastorello che aveva il suo gregge nelle “Sciare di Mazzaruto”, vide tra l’erba una pietra con un anello di ferro, ed alzatala trovò l’ingresso di un sotterraneo. Fattosi coraggio, scese la scala e fu ben presto nella grotta, in una prima stanza della quale erano dei commestibili invecchiati e guasti e nell’altra tre grandi mucchi di monete, uno d’oro, il secondo di argento e il terzo di rame. Alle due pareti laterali, legate agli anelli, due catene tenevano ancora avvinti due scheletri.

          Il pastore, senza badare ad altro, pensò a prendersi un sacco di monete d’oro e si avviò per uscire; sennonchè, quando era sull’ultimo scalino, una voce dall’interno lo trattenne: - A te il denaro, e a me che resta ? Diceva questa voce. Spaventato, buttò allora il sacco e corse verso il paese, dove giunto dovette mettersi a letto per una febbre violenta che lo assalì. Pochi giorni dopo era morto, e da allora più nessuno ha potuto rivedere la grotta di Mazzaruto”.

          Dopo avere letto questa infelice leggenda, non possiamo accostare certamente l’ignoto agli antichi briganti per la loro scelta di utilizzare le grotte quali rifugi sicuri. Questo semplicemente perchè la storia ci dice che nell’esistenza  dei briganti non c’era niente di oscuro.

          Il brigantaggio certamente si alimentava dell’ignoranza della povera gente che sentiva per le grotte una naturale ritrosia e rifiuto, tuttavia questo triste fenomeno che accompagnò un lungo periodo della storia dell’uomo, traeva origine dalle precarie condizioni di vita dei contadini che sentivano il peso delle loro fatiche nel lavorare la terra, senza potere fruire del prodotto che apparteneva a loro. Pertanto non potendo godere del benessere della terra, quando se ne presentava l’occasione, diventavano briganti, quale protesta dura e selvaggia verso i latifondisti, considerati, causa della loro miseria e arretratezza. 

          Ebbene le grotte disponevano di tutti gli elementi utili allo scopo di rafforzare la sicurezza di questi ladroni, attraverso la diffusione del mistero e la paura dell’ignoto.

          Senza dubbio si tratta di leggende popolari antiche che si intrecciano con le vicissitudini stesse dell’uomo antico, ricco di ingenua immaginazione che lo rendeva rispettoso dell’ignoto, considerato come espressione primaria del male.

          Le grotte, oltre a rappresentare i tanti misteri dell’uomo antico, hanno suscitato di contro,  interesse e curiosità  nello studioso, impegnato nella ricerca continua di testimonianze del passato, di natura antropologica e naturalistica, dalle quali potere risalire alle epoche di utilizzo, all’uso che si è fatto da parte dei  vari frequentatori ed alle particolari condizioni ambientali di una determinata area.

          Gli uomini primitivi, al loro interno, alla luce delle torce e, ancora prima, con lo scopo di controllare il fuoco, trascorrevano la loro esistenza ed organizzavano la loro vita sociale, in particolare nelle ore notturne, quando praticavano i loro riti tribali e i loro banchetti.  Non di rado le grotte venivano usate anche come luoghi di preghiera arcaica e posti di sepoltura. 

          Le grotte quindi, non soltanto sono luogo di ricovero per animali selvatici o ispiratori di miti e leggende, esse sono anche permanenti e gelose custodi della cultura e delle tradizioni popolari degli uomini antichi. Lo studio degli straordinari reperti, trovati nel loro interno, ha permesso all’uomo moderno di capire e fare luce sul modo di vivere dei nostri antenati.

                                                              

                                                                                                       Vincenzo CRIMI

                                                                                   Commissario Superiore del Corpo Forestale