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Città dell'Alcantara

Mojo Alcantara - il Crocifisso

          MOIO ALCANTARA

Dalle pietre medievali di Randazzo, scendiamo verso valle e sulla sponda sinistra del fiume troviamo il piccolo centro di Mojo Alcantara. La sua comparsa nel panorama storico dell’area, appare intorno al 1400, quando la cittadina era un feudo governato da Tommaso Tortorici e di seguito dal casato nobiliare dei Lanza che ancora oggi, attraverso i loro discendenti, possiedono varie proprietà.

Il territorio di Mojo  molto pianeggiante, la sua contiguità alle acque del fiume Alcantara e il terreno molto fertile, consentono la coltura degli ortaggi ed in particolare dei pescheti che rappresentano una grossa fetta di sostentamento per l’operosa popolazione locale.

L’arte religiosa è un altro aspetto degno di grande interesse per l’appassionato ospite di Mojo Alcantara. Nella locale  chiesa madre, tra l’altro, è custodito  un preziosissimo crocifisso ligneo del 1600, realizzato dal famoso Frate Umile da Petralia, che fa parte di una più vasta raccolta di crocifissi scolpiti dallo stesso frate e conservati in altre chiese.

Al turista, interessato alle manifestazioni religiose, ci sentiamo di consigliare la festa del Santissimo Crocifisso che si celebra nell’ultima settimana di settembre di ogni anno.

L’attrazione naturalistica del piccolo centro è affidata al monte Mojo o “vulcanetto”, un cono vulcanico piroclastico, da cui si pensava che in tempi remoti avesse avuto origine la straordinaria colata lavica che invase il fiume Alcantara e arrivò sino a Giardini Naxos.

La storia reale di questo monte, si accosta alla leggenda popolare del “cieco ingannato”, ovvero l’inganno che una persona benestante perpetrò ai danni del fratello cieco nella divisione del raccolto.

-“ Imperciocchè dicono essere stati due fratelli, l’uno de’ quali era cieco, che avendo quei campi seminati e fatta grandissima quantità di grano, al tempo di dividerlo, il fratello che vedeva, misurava quello con la misura, che modio o pur moggio si chiamava, e quando lo riempiva dal cupo, lo riponeva dalla sua parte, e quando per il fratello riempiva solamente il fondo per il rovescio quella misura. Laonde dicono, che il cieco, toccando con la mano il grano, non potendosi accorgere dell’inganno, diceva: Se non vedo io,vede per me Iddio. Finalmente, essendo il grano diviso e fatto un grandissimo mucchio dalla parte del fraudolente fratello, sopravvenne miracolosamente un lampo di fuoco dal cielo, che bruciò lui con tutto il grano; laonde diventò un altissimo monte di terra arsiccia e di color quasi rossa in quel piano separato e dsgiunto dalle altissime montagne oggi chiamate di Pitari, le quali, seguendo la schiena dell’Appennino dal Peloro per l’alpi di Tauromena, quivi sono molto dirupate ed altissime per la parte di tramontana dal Moggio, il quale dall’effetto prese il nome del monte del Moggio, cioè dalla misura, ed indi diede il nome al campo”[1].

 

[1] Da  Trinacriae chorographia (1557) (Descrizione della Sicilia)  di Antonio Filoteo degli Omodei.

 

Vincenzo  CRIMI