Cascata del Catafurco

IL PARCO NATURALE DEI NEBRODI E I SUOI GIOIELLI: LA “CASCATA DEL CATAFURCO”.

Testo a cura di Enzo Crimi – già Commissario Superiore del Corpo Forestale della Regione Siciliana, saggista, divulgatore ambientale e naturalista, esperto di problemi del territorio.

Dopo diversi anni che non mi recavo in questi luoghi dei monti Nebrodi e accettando il gradito invito dei miei amici del gruppo CAI di Randazzo, la domenica scorsa, mi sono unito a loro e sono tornato a visitare un suggestivo sito conosciuto come “La Cascata del Catafurco”. Si tratta di una perla del naturalismo siciliano incastonata all’interno di un suggestivo paesaggio in territorio in agro del comune di Galati Mamertino (ME), entro i confini del Parco Naturale dei Nebrodi che tutti gli amanti del naturalismo lento, conoscono come uno spettacolare balcone naturale formato da montagne boscate che si affacciano a nord direttamente sul mar Tirreno e a sud sull’immenso anfiteatro creato dall’Etna e dai fiumi Simeto e Alcantara. Sto parlando di un territorio di grande suggestione e richiamo, perché a queste altitudini è possibile ammirare l’affascinante contrasto tra acqua, terra, aria e fuoco. “La Cascata del Catafurco” è alimentata, prevalentemente nel periodo estivo, dalle fredde acque del torrente San Basilio che iniziano a formarsi nel cuore dei Nebrodi, dalle terre che da sud lambiscono la nota dorsale dei Nebrodi. Scorrendo verso valle nel versante tirrenico, le dotazioni geomorfologiche e pedologiche di questi luoghi, ne fanno un luogo ricco di ruscelli e rivoli d’acqua che sgorgano dai fianchi delle colline boscate circostanti e “gonfiano” il terreno di un’idrografia superficiale che tende a convogliarsi sino a formare un unico corso d’acqua che appunto, prende il nome di torrente San Basilio e affronta la sua discesa tortuosa verso il mar Tirreno. Dopo aver raggiunto la sua consistenza di scorrimento in corrispondenza di un dislivello di circa 30 metri, le acque precipitano tumultuosamente da alte, scabre ed erose rocche carbonatiche, frutto dell’azione erosiva millenaria del torrente San Basilio che ha scavato la roccia e proseguono il loro percorso verso valle. Un salto d’acqua che dall’alto della “Serra dei Ladri”, precipita giù impattando sulle rocce sottostanti e scivolando nel piccolo laghetto naturale che si è formato dentro l’alveo alla base delle forre, noto nel luogo come “Marmitta dei giganti”, una sorta di piscina scavata nella roccia dall’erosione dell’acqua dove, clima permettendo, e volendo, i visitatori possono fare un bagno rigenerante. Poco distante dalla cascata “La Cascata del Catafurco”, abbiamo visitato anche la grotta delle “Lacrime di Maria” dove si trova una statuetta della Madonna. La grotta è attorniata dal muschio sul quale gocciola l’acqua proveniente da un piccolo ruscello, come a simulare il pianto della Vergine, per questo il piccolo sito è denominato “Lacrime di Maria”. Questa storia nasce da una leggenda popolare secondo la quale, una notte due fanciulle del paese fecero lo stesso sogno, che nella cavità ci fosse la presenza della Madonna. La Madonna non è stata trovata, tuttavia, il giorno seguente le due ragazze fecero collocare in quella piccola grotta una statuetta dedicata a Maria.

Giunti sul posto, noi abbiamo guardato “La Cascata del Catafurco” dal basso, proprio dall’interno dell’alveo del torrente e devo ammettere che davanti a noi si è presentato come un “Santuario della natura”, al cui cospetto si pensa subito che quì la natura davvero dà spettacolo. La nostra visita è stata quasi per intero sotto una leggera pioggia, tuttavia, anche se l’abbiamo vista altre volte, sarà stato che lo scrosciare dell’acqua copriva la confusione dei nostri pensieri che riportavano alla pioggia, sarà che la fragranza del muschio ci riportava alla mente antichi ricordi, sarà che i giochi dell’acqua che cadeva quasi ci ipnotizzavano, in questo posto incantato abbiamo trovato un “pezzo” di Sicilia integrale quasi nascosta che pochi conoscono, lontana dai centri affollati del turismo mordi e fuggi e dagli itinerari naturalistici conosciuti, un territorio fatto di sentieri, boschi e di piccoli specchi d’acqua. Il sito non è circondato da una natura seducente e colma di rigogliosa vegetazione fluviale, tuttavia, le acque del torrente ci accolgono con i loro spruzzi d’acqua rivestiti d’arcobaleno, che inondano l’aria di frescura e di intime sensazioni. Insomma, sono molte le bellezze che caratterizzano questo prezioso forziere naturale, stupori che non possiamo cogliere con una foto ma solo con la sensibilità degli occhi che provocano grandi sensazioni al cuore.

Per visitare questo sito naturalistico abbiamo utilizzato il tragitto più breve, agevole e non difficoltoso, a parte qualche ripida salita. Abbiamo scelto il percorso di Galati Mamertino e propriamente, dopo aver imboccato una vecchia trazzera di contrada San Basilio poco distante dal paese nebroideo, abbiamo iniziato la nostra piacevole camminata lungo un itinerario idoneamente indicato con appositi cartelli collocati ai bordi della trazzera, che ci ha portato fino alla cascata. Insomma, un sito che vale assolutamente la pena visitare se si è appassionati di escursioni lente. Il tragitto, lungo circa 7 chilometri tra andare e tornare, è ben ricco di paesaggi unici dove l’attrazione principale e rappresentata dai colori seducenti della macchia mediterranea, ma anche dallo zampillare delle acque che seguendo vie labirintiche a monte, sgorgano in superficie a valle e proseguono il loro breve percorso sino ad immettersi nel torrente San Basilio poco a valle. Gran parte di questo territorio fluviale del torrente San Basilio, seppur ad alta pendenza, grazie all’acqua del torrente, deteneva delle aree a vocazione agraria, in particolare nei terreni vicini al fiume, spazi modellati dalla natura ma anche artificialmente attraverso gradoni e terrazzamenti, oggi lasciati all’incuria e all’abbandono, punteggiati da qualche raro scorcio di verde, rappresentato dai pochi relitti arborei. Al presente queste contrade che sono riflesse nel torrente San Basilio, in parte sono caratterizzate dall’assenza di antropizzazione che paradossalmente, consente la conservazione e la custodia di rare testimonianze di vera cultura e arte rurale. Infatti, ancora oggi sono visibili i resti di un villaggio abbandonato dei pastori in Contrada Molisa e i tipici pagliai “pagghiari”, ricoveri di pastori e casette rurali in pietra, oramai in parte collabenti, per il resto tutto è abbandonato all’arbitrio degli allevatori e del pascolo indiscriminato, agli incendi estivi e all’attività erosiva degli eventi atmosferici.

Durante il suggestivo percorso si ha la consapevolezza di trovarsi all’interno di un territorio attraversato da ripidi viottoli, contrassegnato da rocce granitiche e picchi, intercalato dal disordine vegetazionale arbustivo, ricco e fitto di roveti ed erbe stagionali. Rivolgendo uno sguardo d’insieme a monte e a valle della trazzera, ecco che avvistiamo delle piante di querce e una consistente vegetazione fluviale composta da piante arboree che, per le loro caratteristiche tonalità ed endemismi, esprimono un’insieme di varietà botaniche arboree diverse ma omogenee che si manifestano in tutte le stagioni: i Pioppi, gli endemici Salici di Gussonei e in minor quantità i Platani e gli Ontani, sono le specie principali che non raramente rappresentano “comunità climax da incendio”, perché percorse periodicamente da incendi. Inoltre, queste piante sono assortite della presenza non indifferente di tanta vegetazione minore arbustiva tra la quale emerge, la Ginestra di Spagna, l’Olivastro, il Perastro, il Fico d’india, l’Oleandro, il Fico comune, il Tamerice e poi ancora il Sambuco, pianta non molto longeva dalle bellissime infiorescenze ad ombrello, la Gunnera minore, l’Euforbia, l’Origano e l’Ampelodesma, che può considerarsi un’altra pianta arbustiva tipica di alcune ben identificate aree delle valli fluviali e verdeggianti tappeti di Felci che invitano alla serena riflessione. Per chi è appassionato di botanica, ecco che può affascinare gli occhi con una piantina erbacea rara e a rischio estinzione che cresce ai bordi del torrente: la Petagna (Petagnaea gussonei). Anche la fauna locale é ben presente e rappresentativa di gran parte delle specie mediterranee. Noi ci siamo stati in questo periodo e dopo circa un’ora di cammino dall’inizio della trazzera, una volta percepito lo scrosciare dell’acqua, si è arrivati alla “Cascata del Catafurco”, dove rigenerarsi nelle acque fresche del torrente. Insomma, se non lo avete ancora fatto, vi consiglio di visitare “La Cascata del Catafurco”che offre tanta bellezza.