Category Archives: Ambiente

Megaliti

ALLA SCOPERTA DEI MEGALITI DELL’AGRIMUSCO

di E. Crimi

 - Come il misterioso simbolo fallico della fertilita’ situato nel bassipiano di Orgale nei pressi di Castiglione di Sicilia, un altro luogo da visitare, denso di grande fascino e mistero, è il sito preistorico dei megalitici sull’altipiano dell’Agrimusco, dove l’estrema propaggine orientale dei monti Nebrodi si salda con la parte occidentale dei monti Peloritani, e precisamente, in comune di Montalbano Elicona, in provincia di Messina. Sin dall’alba del mondo sappiamo che i Megaliti dell’Agrimusco, e tutti gli altri sparsi per il mondo, hanno sempre rappresentato dei veri e propri misteri e la storia antica dell’uomo è ricca di fatti inspiegabili e non comuni.

Megaliti

Su questi straordinari monumenti rupestri, conosciuti anche con il nome di “Menhir”, sappiamo ben poco, sia sul senso o funzione della loro esistenza e ancor meno notizie abbiamo riguardo i loro creatori. Le ipotesi riguardo questi grossi blocchi di pietra arenaria sono diverse, come diverse sono le discordanze anche tra gli studiosi. Molti di essi sostengono che si tratta di manufatti riconducibili a consuetudini religiose con riti primordiali collegati alla simbologia della fertilità, altri sostengono un significato con finalità archeo-astronomiche, in quanto orientati e collegati con i punti cardinali, ai quali riconoscere una funzione antesignana di osservazione degli astri, dei cicli delle stagioni, equinozi e solstizi, da sempre date mistiche e venerate dalle antiche civiltà sparse in tutto il mondo conosciuto. Infine, alcuni ricercatori li accostano a miti e fantastiche leggende di giganti che si dedicavano alla pastorizia, ma anche storie umane, arcaiche ma reali, dove la vita delle sue creature ha seguito il suo percorso di naturale straordinarietà pari solo a se stessa.

Megaliti Agrimusco

Lasciando l’opinabile ai sognatori, nella realtà indiscutibile, queste formazioni rocciose sono particolari monumenti costituiti da grandi blocchi di roccia arenaria, grossolanamente squadrati, piantate nel suolo la cui area di diffusione è molto ampia in tutto il mondo, a rappresentare le testimonianze più antiche dell’architettura preistorica. Queste maestose sculture, hanno sempre attratto l’interesse di ricercatori e la curiosità di semplici escursionisti, impegnati nella ricerca continua di testimonianze del passato, di natura antropologica e naturalistica, dalle quali potere risalire alle epoche di utilizzo, all’uso che si è fatto da parte dei vari frequentatori ed alle particolari condizioni ambientali di una determinata area. Insomma, da sempre questi “monumenti” hanno rappresentato un intrecciato motivo di studio storico ed anche geologico dell’intrigante prodigio dell’erosione naturale, dell’azione modellante del vento e della natura geologica del terreno, o resti di antichi e maestose sculture intagliate nella roccia, frutto dell’opera di popolazioni preistoriche di cui si è persa ogni traccia, nel lento ed incessante scorrere del tempo. Insomma, nessun mistero ma solo la spiritualità che solo un’ambiente suggestivo e incontaminato può elargire ai suoi visitatori.

Megaliti_Agrimusco

Tesori archeologici

ALLA SCOPERTA DEI TESORI ARCHEOLOGICI DELLA VALLE DEL FIUME ALCANTARA
(di E. Crimi)
Il misterioso simbolo fallico della fertilita’ in roccia megalitica arenaria, denominata “Menhir”, situato nel bassipiano di Orgale nei pressi di Castiglione di Sicilia a pochi passi dalla sponda sinistra del fiume Alcantara. Su questo straordinario monumento rupestre, sappiamo ben poco, sia sul senso o funzione della sua esistenza e ancor meno notizie abbiamo riguardo i sui creatori. La ricerca archeologica lungo il corso del fiume Alcantara nel corso degli anni passati, non può considerarsi abbastanza sistematica, tanto da potere considerarla completa. Lo studio del passato è stato sempre affidato all’iniziativa individuale di pochi al punto che ancora oggi ci troviamo di fronte a poche luci e molte ombre che avvolgono questo eccezionale settore. Gli approfondimenti sono stati modesti e frammentari, ma sono tanti gli indicatori che ci pervengono dal passato che dovremmo attentamente decodificare per comprendere, sviluppare ed esaltare, il modo di vivere dei nostri predecessori. Le ipotesi riguardo questo grosso blocco di pietra arenaria sono diverse, come diverse sono le discordanze anche tra gli studiosi, tuttavia, molti di essi sostengono che si tratta di manufatti riconducibili a consuetudini religiose con riti collegati alla simbologia fallica propiziatoria della fertilità.

Tesori archeologici Alcantara

 Queste maestose sculture, hanno sempre attratto l’interesse di ricercatori e la curiosità di semplici escursionisti, impegnati nella ricerca continua di testimonianze del passato, di natura antropologica e naturalistica, dalle quali potere risalire alle epoche di utilizzo, all’uso che si è fatto da parte dei vari frequentatori ed alle particolari condizioni ambientali di una determinata area. Insomma, da sempre questi “monumenti” hanno rappresentato un intrecciato motivo di studio storico ed anche geologico dell’intrigante prodigio dell’erosione naturale, dell’azione modellante del vento e della natura geologica del terreno, o resti di antichi e maestose sculture intagliate nella roccia, frutto dell’opera di popolazioni preistoriche di cui si è persa ogni traccia, nel lento ed incessante scorrere del tempo. Insomma, nessun mistero ma solo la spiritualità che solo un’ambiente suggestivo e incontaminato può elargire ai suoi visitatori.

Tesori Alcantara sepolcrale multipla

Grotta dei lamponi

LA GROTTA DEI LAMPONI – Castiglione di sicilia

(di E. Crimi)

……… è una importante galleria di scorrimento lavico rinvenuta nel 1965 all’interno delle centenarie lave dei dammusi, in territorio di Castiglione di Sicilia. Le “Lave dei dammusi” sono state originate da una straordinaria colata che interessò la zona a partire dal 1614 e, ad alterne fasi, sino al 1624. Lave dei Dammusi, ovvero, dall’arabo dammus, toponimo oramai in disuso a significare entità vuote, ed accostato come confronto ai tetti delle case antiche. La particolarità di queste lave si riscontra nella loro costituzione a lastroni stratificati o, come definita, “a corde o pahoehoe ” per la conformazione di raffreddamento che ha lasciato degli ampi vuoti o spazi tra una placca e l’altra, per questo comparata ai tetti (dammusi) delle antiche case siciliane, che di solito sotto la volta esterna erano vuoti. Le lave dei dammusi (le concentrazioni più vistose presenti sull’Etna, sono appunto in territorio di Castiglione di Sicilia e Bronte, strada rurale SS. Cristo-Piano Ginestre) per le loro straordinarie peculiarità orografiche, oggi rappresentano una meta per gitanti comuni, attratti dalla particolarità delle loro forme fuori del comune, mentre rappresentano per gli studiosi una nicchia geologica di notevole interesse finalizzato alla ricerca scientifica, in quanto rivestono grande valore sia per la struttura sopra descritta che per la dovizia di caverne e gallerie di scorrimento. Le caratteristiche della “Grotta dei Lamponi” fecero subito pensare ad una interessante scoperta, portata alla luce nel 1965 ad opera di volontari del C.A.I. di Linguaglossa, i quali diedero alla grotta il nome delle piantine di lamponi vegetanti in uno dei suoi ingressi. La genesi di queste grotte vulcaniche segue un processo evolutivo che, come sappiamo, ha origine dalle colate laviche, le quali scorrendo lungo le pendici del vulcano, alle volte si creano dei percorsi per così dire paralleli. La parte esterna, in quanto a contatto con l’atmosfera, tende a raffreddarsi e a solidificarsi prima, mentre il flusso lavico all’interno della colata mantiene il suo calore e continua a scorrere come in una galleria, sino a quando viene alimentato. Quando la colata incomincia ad estinguersi e pertanto il flusso non riceve più propulsione, la condotta si svuota e lascia il posto ad una grotta di scorrimento lavico. A circa 1745 metri di quota, la sua lunghezza di circa 700 metri e il suo dislivello di circa 90 metri, la rendono di grande attrazione e tra le più importanti grotte presenti sul territorio di Castiglione di Sicilia. La grotta dei lamponi si snoda in un’unica e ampia galleria, larga circa 7 metri, avente un’altezza media di circa 3 metri al soffitto, il quale in alcuni punti si presenta crollato ed in altri ricco di stalattiti e scorie laviche o denti di pescecane, come vengono chiamati localmente. Il pavimento, ostruito in alcuni punti da detriti lavici provenienti da cedimenti della volta, testimonia ancora oggi, l’imponente passaggio del magma molto caldo e fluido. Punto d’arrivo di numerosi escursionisti per la sua facilità di individuazione, in quanto adiacente ad una pista forestale, la grotta dei lamponi può essere usata come punto di partenza per l’esplorazione di altre conosciutissime cavità, poste a non molta distanza, sempre nelle lave del 1614-24, su territorio di Castiglione di Sicilia.

Grotta dei lamponi

 

Timpa Rossa

IL RIFUGIO DI TIMPA ROSSA – Castiglione di Sicilia

(di E. Crimi)

…. ….nella incontaminata faggeta etnea di Timpa Rossa, in territorio di Castiglione di Sicilia, la mano dell’uomo, complice un ambiente ancora incontaminato, ha saputo realizzare un manufatto di rara bellezza. Incastonato in un pianoro naturale, troviamo il “Rifugio di Timpa Rossa”, frequentato da tantissimi escursionisti che trovano in esso un punto di riferimento per le escursioni di alta quota che portano verso la cima del vulcano più alto d’Europa. Questo rifugio, per la sua posizione geografica, per la pregevole fattura della struttura, per la sua ubicazione all’interno di una zona boschiva ben conservata, ma anche per le sensazioni intime ed indescrivibili che offre al gitante, può senza dubbio definirsi come massima espressione del connubio natura – uomo. (Dal libro : “Alla scoperta del territorio di Castiglione di Sicilia” – (Enzo Crimi 2001). Ci sono mille motivi per salire fin lassù, per scappare dalla vita caotica e frenetica della città, in cerca di scenari naturali e autentici … e quando siete lassù a passare la notte, sappiate che è un rifugio semplice e spartano, non cercate le comodità cittadine, non siate troppo pigri da non alzarvi e perdere così un’alba che dopo aver innondato di luce Monte Nero, s’infila quasi di striscio tra gli alberi di faggio, la sera non siate troppo stanchi e affamati da restare seduti dentro a tavola ma godetevi il calar del sole e il dolce passaggio dal giorno alla notte. Se incontrate il cattivo tempo, non perdetevi il temporale montano estivo, fatto di un composto caos, tra rumori assordanti e mille luci, per poi come d’incanto veder apparire il sole e poter respirare quell’aria fresca di “Madre terra” che vi laverà dentro… Anche solo per uno di questi momenti vale la pena di salire al rifugio di Timpa Rossa. Dopo aver vissuto queste sensazioni, tornerete un po’ più ricchi a valle, pensando che in fondo tutti salgono su una montagna e poi, dopo poco o magari dopo giorni, quando sarete scesi, vi verrà la voglia di tornare ancora lassù, per scoprire un altro rifugio, così da rubare ancora alla montagna un nuovo e indimenticabile ricordo!

Rifugio Timpa Rossa

Rifugio Santa Maria del bosco

IL RIFUGIO FORESTALE DI SANTA MARIA DEL BOSCO SUI MONTI NEBRODI

(di E. Crimi)

Oggi visiteremo una perla dei Nebrodi….eppure, chi ama viaggiare senza fretta e in punta di piedi, dotato solamente di animo contemplativo, all’interno del territorio di Randazzo, trova il giusto equilibrio tra rumori e silenzi, tra inquietudine e distensione, emozioni uniche che solo da queste parti la natura può elargire a chi di essa ne ama le sue essenze più pure. Raggiungere il rifugio di Santa Maria del bosco è alquanto semplice. Questo percorso inizia dal centro abitato di Randazzo e attraverso l’estrema propaggine sud-orientale dei Nebrodi, si spinge sino alle sorgenti del fiume Alcantara, in pieno territorio di Floresta. Lasciando il centro abitato di Randazzo attraverso l’antica porta Aragonese, si imbocca la SS. 116 (Randazzo – Capo d’Orlando), da qui, dopo avere oltrepassato il suggestivo ponte in pietra lavica sul fiume Alcantara, a circa 700 metri si svolta a sinistra e ci si immette su un percorso dal quale non ci si può esimere nel restare straordinariamente colpiti dalla visione del paese di Randazzo che, “difeso” dai balzi lavici e dalle sue mura medievali, si specchia nelle acque del fiume Alcantara e offre al visitatore l’imponente visione dell’Etna che dall’alto della sua possanza sta a guardare. Il percorso risale come per rincorrere a ritroso il corso del fiume, che inizia a scorrere ancora molto più a monte. Dopo avere potuto godere di un paesaggio semplice ma ricco di attrattiva naturalistica, si giunge all’ingresso dell’area demaniale di Santa Maria dei Bosco. Ancora qualche chilometro e ci si potrà dissetare con acqua di sorgente presso l’area attrezzata omonima gestita dall’Azienda Foreste Demaniali della Regione Siciliana. Qui ci si sofferma piacevolmente in un’antica masseria, corredata da tavoli, panche, piani di cottura e persino servizi igienici e qualche gioco per bambini, che rendono la sosta, anche di qualche giorno, ancora più confortevole. Una piccola stanza della masseria, è stata ristrutturata e adibità a luogo di culto religioso, per come probabilmente lo era in origine e in un’altra stanza, è stato allestito un piccolo museo dell’arte e tradizione contadina. Insomma, ne vale davvero la pena visitarlo. Questo luogo, consentito al transito delle autovetture soltanto previa autorizzazione dell’autorità forestale, si presta molto per l’escursionismo e il pernottamento di gruppi scouts e scolaresche, numerosissimi nel periodo estivo e soprattutto in primavera.

Rifugio Forestale Santa Maria del Bosco (foto aerea E.Crimi)

Colata lavica a bassa quota

 Mons Djebel 

          Dopo la vivace attività stromboliana dei primi giorni, con scosse di terremoto, tremori e bagliori, continua a fasi alterne ma senza sosta, l’attività effusiva dell’Etna che ci regala scenari bellissimi e suggestivi  immagini della lava che rotola sul terreno coperto dalla neve.
          La colata proviene da una bocca effusiva posta  in corrispondenza della parte più bassa della frattura eruttiva sud-occidentale, apertasi il 28 dicembre 2014. Dopo aver attraversato la zona pianeggiante a sud dei crateri sommitali, conosciuta anche come “Cratere del Piano”, la colata è passata ad ovest del Monte Frumento Supino dirigendosi verso la zona fra Milia e Galvarina, e dividendosi in due rami principali che già nella mattinata del 2 febbraio scorso, avevano raggiunto una quota poco sotto 2000 mt., senza peraltro rappresentare pericoli immediati.

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           L’Etna viene costantemente monitorata, tuttavia, come spesso capita, il grande Signore del fuoco, al momento preferisce solo fare sentire la sua presenza, attraverso fenomeni di manifestazione, insomma, per così dire: io ci sono!!!

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           L’attività vulcanica nell’area etnea trae le proprie origini in epoche geologiche relativamente recenti, probabilmente nel pleistocene tra 700.000 e 500.000 anni fa, quando a Nord si formava la pianura padano-veneta e nella nostra isola l’Etna o, come veniva chiamato anticamente con un binomio latino-arabo; il Mons Djebel (Mons Gebel), il monte dei monti.
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         L’Etna, avente un volume di circa 500 km3, è il vulcano attivo più grande d’Europa e uno tra i più grandi del mondo. Il territorio dell’Etna si innalza dalle rive del mare Jonio sino al cratere centrale, dove il nero delle lave si fonde con l’azzurro del cielo in un’unica tonalità di grande impatto visivo.
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          La sua base ha una forma quasi ovale di circa 1.600 km2, con l’asse maggiore, in direzione Nord-Sud, lungo circa 60 km e quello minore, in direzione Est-Ovest, di circa 40 km. Il perimetro, di 150 km, è segnato dai fiumi Simeto ed Alcantara e, per circa 30 km, dal Mar Ionio. A Sud, la piana di Catania separa il vulcano dai Monti Iblei, più antichi e di origine vulcanica; a Nord, invece, l’Etna confina con i Monti Peloritani, costituiti prevalentemente da rocce granitiche.
          Le prime eruzioni sottomarine e quindi l’accumularsi delle numerose lave di base, sommate ad un generale sollevamento tettonico dell’area, provocavano l’emersione di tutta la zona, dove prima esisteva un grande golfo, che oggi possimo individuare tra i corsi dei fiumi Alcantara a Nord e Simeto a Sud-Ovest.  

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 ” …vedemmo l’Etna ondeggiante dalle fornaci spaccate e rotolare sfere di fiamme e macigni di lava, allora, io ero la, sulla più alta delle montagne, e tutto intorno a me c’era l’intero cerchio del mondo.
          E mentre ero la, vidi più di ciò che posso dire e capii più di quanto vidi; perché stavo guardando in maniera sacra la forma spirituale di ogni cosa e la forma di tutte le cose che, tutte insieme, sono un solo essere “l’Etna, il grande Signore del fuoco”

(E. Crimi)

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Gaia

GAIA, IL PIANETA VIVENTE

(di E. Crimi)

          Sulla terra siamo circa 7 miliardi di persone, abbiamo plasmato il mondo a nostra immagine, abbiamo costruito immense città dove viviamo, abbiamo realizzato porti e spianato isole per costruire le nostre fabbriche, con le nostre navi trasportiamo persino le foreste. La terra ci ha consegnato le sue immense ricchezze naturali e tutte le forme di vita sulla terra sono a noi sottomesse. Comprendiamo le conseguenze del nostro potere? Frughiamo incessantemente in ogni angolo del globo per nutrirci, siamo diventati i più grandi predatori.
          Inquinamenti, disboscamenti, riscaldamento globale, sfruttamento massiccio delle risorse naturali, questo nostro viaggio ci ha portati molto lontano ed è arrivato il momento di renderci conto di cosa sta accadendo. La terra è talmente estesa che siamo arrivati a credere che abbia risorse talmente infinite, ma ci sbagliamo, il nostro pianeta ha una limitata capacità di rinnovamento che dobbiamo assolutamente imparare a gestire. Questa è la ragione per cui sin dall’origine, tutto ciò che vive sulla terra rispetta regole e ritmi è il principio della legge della natura, e noi vogliamo restare sulla terra? Vogliamo avere un posto per noi anche un domani? Forse l’uomo, con la sua mente piccola, non ha ancora la piena consapevolezza della gravissima crisi ambientale che sta vivendo. L’umanità sta commettendo un grave errore, la “Madre terra” da dove veniamo sembra così lontana. Non guardiamo più alla bellezza del pianeta ma solo a quanto può fare per la nostra specie e cosa ci permette di produrre.
          Tutto ciò che vive intorno a noi è danneggiato dalla nostra esistenza. Lasciamo impronte ovunque andiamo. Forse stiamo sognando se pensiamo di andare avanti con questa frenetica crescita senza che vi siano conseguenze. Forse non è lontano il momento in cui l’umanità dovrà guardarsi allo specchio e fare i conti con un forviante concetto di progresso e di sviluppo a tutti i costi, forse arriverà il tempo di trovare radicali soluzioni ad un quadro globale devastante che, di giorno in giorno, si aggrava sempre di più.
          L’uomo può evolversi solo se capisce che è in armonia con la collettività. Pur sapendo cosa sta accadendo, non possiamo più cambiare il corso degli avvenimenti, ma forse una nostra coscienza collettiva innescherà una reazione a catena e salverà la nostra specie se reagiremo in tempo. Il pianeta è nostro… e ora… dove andremo? Come siamo arrivati a questo punto in cui non vediamo più ciò che ci circonda? Per capirlo dobbiamo tornare indietro sino alle origini.

 

Grotta del gelo

RANDAZZO E LA GROTTA DEL GELO

          La Grotta del Gelo è la cavità di origine vulcanica più conosciuta dell’Etna, si è formata a circa 2040 m. slm sul versante nord-occidentale dell’Etna, in territorio di Randazzo, ha uno sviluppo di circa 125 metri e un dislivello di metri 30 circa. Anticamente utilizzata dai pastori per abbeverare il gregge, oggi è meta ambita dell’escursionismo etneo. Infatti, l’affascinante spettacolo offerto dalla visione di un piccolo ghiacciaio rappresentato da un consistente deposito naturale perenne di neve ghiacciata, ha stimolato da sempre la curiosità degli escursionisti che ritengono la grotta, certamente una delle più note delle oltre 220 presenti sull’Etna.

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Da sempre la grotta del gelo ha rappresentato un intrecciato motivo di studio storico ed anche geologico dell’intrigante mondo ipogeo e del suo lento ed incessante scorrere del tempo. Un affascinante ed inconsueto viaggio all’interno delle recondite profondità, immersi in un silenzio magico, laddove in piena estate il ghiaccio cede il posto ad incantate ombre che si incontrano e si confondono in un gioco sempre nuovo ma occulto, che profuma di misterioso e arcano, ma che ogni piccola disattenzione può trasformarsi in rischiosa trappola. Il suo nome è la sua notorietà, sono dovuti alla sua caratteristica di mantenere una gran massa di ghiaccio al suo interno per quasi tutto il periodo dell’anno, ciò dovuto alla neve che viene spinta dal vento al suo interno facilitata dalla lieve inclinazione del suolo, alle infiltrazioni dell’acqua che si congela per le temperature fredde e al difficile scambio termico con l’ambiente esterno. Con queste condizioni climatiche, la massa glaciale, trovando condizioni di temperatura più favorevoli, ha eseguito una traslazione sul fondo della grotta dove mantiene il suo spessore, rendendo a periodi impraticabile il cunicolo finale.

Per visitarla in primavera, si procede con l’utilizzo di attrezzatura alpinistica tra cumuli di neve presenti sin dall’inizio della galleria e attraverso stallatiti di ghiaccio pendenti dalla volta e un scivoloso strato di ghiaccio, si arriva ad un piccolo ambiente pianeggiante coperto da uno tappeto di ghiaccio cristallino, dal quale traspaiono grossi massi incastonati al suo interno. Da questo si dipartono due gallerie “rivestite” dal ghiaccio invernale: la prima diventa quasi subito impraticabile a causa della gran massa di ghiaccio, la seconda, più ampia, si sviluppa interamente all’interno del ghiacciaio direzione sud e verso l’uscita.

Grotta del gelo

Stalattiti di ghiaccio nella grotta del gelo

          La Grotta del Gelo rappresenta un caratteristico esempio di cavità ipogea originata da meccanismi eruttivi, essendo stata prodotta dal parziale svuotamento di una colata lavica, ed è abbastanza singolare per la notevole ampiezza che supera quella media delle comuni grotte laviche. Essa si apre a monte e precisamente nella parte iniziale delle famose “lave dei dammusi” che costituiscono il prodotto dell’eruzione che in diverse fasi e per 10 anni (1614-1624) interessò il versante settentrionale dell’Etna. Si tratta di una grotta di scorrimento lavico che segue un processo evolutivo che ha origine dalle colate laviche, le quali scorrendo lungo le pendici del vulcano, alle volte si creano dei percorsi per così dire paralleli. La parte esterna, in quanto a contatto con l’atmosfera, tende a raffreddarsi e a solidificarsi prima, mentre il flusso lavico all’interno della colata mantiene il suo calore e continua a scorrere come in una galleria, sino a quando viene alimentato. Quando la colata incomincia ad estinguersi e pertanto il flusso non riceve più propulsione, la condotta si svuota e lascia il posto ad una grotta di scorrimento lavico.

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Attualmente la Grotta del Gelo non gode di ottima salute. Infatti, mentre all’inizio della sua formazione avvenuta verosimilmente verso la prima metà del XVII secolo, cioè qualche decina di anni dopo la fine dell’eruzione all’interno della quale si formò, il ghiaccio della cavità raggiungeva uno spessore di circa 2 metri, in questi ultimi anni il ghiaccio al suo interno si assottiglia sempre di più, tanto che a estate inoltrata ne rimane pochissimo e pertanto, essa perde il suo fascino. Ciò è dovuto probabilmente alle variazioni climatiche che stanno interessando il nostro pianeta, alle temperature meno rigide e nevicate sempre meno abbondanti, ai numerosi movimenti sismici del terreno che creano infiltrazioni d’aria che indeboliscono le proprietà coibenti della grotta e non ultimo, al disordinato afflusso dei visitatori che certamente andrebbe regolamentato.

 - E. Crimi -

Gruppo di escursionisti in visita alla Grotta del gelo

I Calanchi

I CALANCHI

– (di E. Crimi) –

           Il calanco è un fenomeno complesso di franamento ed erosione dei terreni fortemente argillosi, tipico del clima mediterraneo. Affinchè questo si formi, sono necessarie alcune condizioni ed in particolare, è necessario che il terreno sia prevalentemente argilloso ma con una certa percentuale di sabbia, i versanti siano con pendenza elevata ma non eccessiva, i terreni siano esposti preferibilmente a sud, il suolo sia sottile e il clima caratterizzato da fenomeni temporaleschi e stagioni secche. L’argilla è un terreno formato da particelle microscopiche di forma lamellare, che aderiscono fra loro. In questi terreni, le gocce d’acqua di un temporale penetrano attraverso le fessurazioni, provocano la disgregazione di piccole particelle di terra e favoriscono il rigonfiamento, indi l’azione solare provoca il ritiro e le spaccature, definite desquamazioni e spappolamento delle argille. In terreni a forte pendenza, una volta spappolata l’argilla viene messa in movimento dal ruscellamento dell’acqua piovana e sottoforma di fiume di fango, prima in forma lieve, poi, asportando ulteriori particelle di terra, in forma sempre più grave, fino a scaricare e smantellare il monte che tende ad essere livellato, si riversa sui campi, sulle strade e i centri abitati, creando danni alle persone e alle cose. Una volta per la sistemazione dei calanchi si adoperavano mezzi meccanici per il modellamento delle creste, o esplosivi, o correttivi del terreno, o prodotti chimici che modificavano la natura stessa dei terreni (flacculazione dell’argilla).

Calanco

Oggi creando la regimazione delle acque con canali erodenti sulle creste e canaletti di raccolta negli impluvi, si cerca di eliminare le acque superficiali, impedire le colate fangose, facilitare l’attecchimento della vegetazione e accelerando la demolizione delle creste. Il terreno si spoglia rapidamente del suolo, i rigagnoli s’ingrandiscono e si approfondiscono creando dei fossi e aumentando di numero fino a disegnare un fitto reticolo idrografico in miniatura, con vallecole dai fianchi ripidissimi in cui l’erosione di fondo è più veloce di quella laterale. Nella parte alta del calanco, invece, la pendenza è così elevata che il terreno argilloso non può essere stabile: piccole frane si staccano continuamente, provocando l’arretramento del calanco fino alla sommità della collina. I minerali che compongono l’argilla contengono poche sostanze nutritive, pertanto, se le condizioni sono favorevoli al fenomeno, la velocità di erosione è superiore a quella di pedogenesi, cioè alla formazione di suolo adatto ad ospitare vegetazione, ne consegue che le radici delle piante penetrano con difficoltà, respirano male e attecchiscono faticosamente.

Tutela ambientale

ANNOTAZIONI DI TUTELA AMBIENTALE

(di E. Crimi)
All’inizio il patrimonio naturalistico donatoci dalla “Madre Natura” era puro e incontaminato, mantenuto tale dalla sola catena della vita. Sulla terra siamo circa 7 miliardi di persone, sin dalla nostra prima comparsa sul pianeta, abbiamo modificato a nostro vantaggio gli ambienti naturali per cacciare, coltivare, spostarci, costruire. Abbiamo plasmato il mondo a nostra immagine, abbiamo costruito immense città dove viviamo, abbiamo realizzato porti e spianato immensi territori per costruire le nostre fabbriche, con le nostre navi trasportiamo persino le foreste. La terra ci ha consegnato le sue immense ricchezze naturali e tutte le forme di vita sul pianeta sono a noi sottomesse. Comprendiamo le conseguenze del nostro potere? Frughiamo incessantemente in ogni angolo del globo per nutrirci, siamo diventati i più grandi predatori delle risorse naturali, questo nostro viaggio ci ha portati molto lontano ed è arrivato il momento di renderci conto di cosa sta accadendo. La terra è talmente estesa che siamo arrivati a credere che abbia risorse talmente infinite, ma ci sbagliamo, il nostro pianeta ha una limitata capacità di rinnovamento che dobbiamo assolutamente imparare a gestire.
Questa è la ragione per cui sin dall’origine, tutto ciò che vive sulla terra rispetta regole e ritmi è il principio della legge della natura, e noi vogliamo restare sulla terra? Vogliamo avere un posto per noi anche un domani? Tra l’uomo e l’ambiente nel corso dei millenni si è stabilita una connessione molto stretta che si è prolungata nel corso del tempo fino ai giorni nostri. Poi l’uomo, forse inconsapevolmente, lo ha minacciato con la sua sete di utilizzo della materia prima, per soddisfare i suoi bisogni, lasciando sì che l’interesse personale, egoistico, prevaricasse su quello ambientale. La capacità dell’uomo di incidere sull’ambiente non era mai stata tale da rischiare di comprometterne l’esistenza stessa.
Le aree che rischiano maggiormente di soffrire le conseguenze peggiori sono proprio quelle più ricche di biodiversità, spesso costituite da foreste che, in alcune aree geografiche purtroppo, stanno scomparendo a ritmi drammatici, a causa dell’indiscriminato attacco che l’uomo sta portando contro di esse. La biodiversità è la vita esistente sulla terra in tutta la sua diversità e comprende tutte le forme di vita, siano esse animali o vegetali, i differenti habitat in cui vivono le specie quali gli ecosistemi come il bosco o le acque, nonché la diversità genetica delle sottospecie, le varietà e le razze. La biodiversità è il risultato di milioni di anni di evoluzione e rappresenta quindi, la base e il potenziale di tutti i processi vitali e le prestazioni degli ecosistemi sul nostro pianeta.
Oggi, con l’avvento dell’era industriale, grazie al progresso tecnologico che consente modificazioni su scale prima impensabili, e grazie al numero assai maggiore di esseri umani che vivono sulla terra, l’impatto dell’uomo è diventato tale da rischiare di modificare il normale corso degli eventi naturali. L’ambiente naturale rappresenta i valori culturali e spirituali fondamentali per molte comunità umane e tuttavia, la presenza dell’uomo non è stata sempre vantaggiosa per esse e a seconda dei periodi storici, l’uomo ha influito nella loro esistenza, a volte in modo positivo ma anche pesantemente. Infatti, l’uomo ha profondamente alterato l’ambiente a livello globale, modificando i cicli biogeochimici, cambiando l’uso del suolo, trasformando il territorio. Tutto ciò ha inevitabilmente condotto alla perdita di un enorme numero di specie che si sono estinte per 100-1000 volte in più rispetto all’era pre-umana. La distruzione o l’impoverimento degli ecosistemi attraverso la diminuzione del numero degli individui e delle specie, compromette la loro stabilità e provoca un rallentamento dei cicli che si svolgono attraverso di essi.
La tutela dell’ambiente è oramai diventata una priorità assoluta e di portata nazionale, ogni ipotesi di sviluppo e conservazione dell’ambiente è però condizionata dai continui e preoccupanti attacchi che essi subiscono: inquinamenti, disboscamenti, degrado e incendi, motivi questi che porteranno all’impoverimento del nostro, già precario, patrimonio naturalistico e conseguente modificazione irreversibile dell’ambiente. Solamente a causa degli incendi boschivi, nell’ultimo decennio abbiamo perso in Italia circa 500 mila ettari di bosco; ma è ancora più grave il fatto che non siamo ancora riusciti a ricostituire il prezioso patrimonio boschivo perso. Il bosco, infatti, contribuisce, non solo a stabilizzare il terreno, ma perfino a migliorare il paesaggio svolgendo un compito molto importante ai fini dell’equilibrio naturale. Tale consapevolezza purtroppo non ha frenato taluni attacchi indiscriminati al nostro patrimonio naturalistico che, oltre a creare notevoli danni ai beni economici delle comunità, risultano forieri di disastri ambientali difficilmente quantificabili a breve termine ma certamente aventi gravi ripercussioni sulle generazioni future.
Sono molteplici le grida di allarme che ci pervengono periodicamente dalla comunità scientifica, la terra è in pericolo, l’uomo è in pericolo, e questa nostra prosperosa civiltà dei consumi, sta gettando le basi per una folle e sconsiderata autodistruzione di un pianeta malato, stanco, oltraggiato da uno sfruttamento sconsiderato in cui ogni cosa, animata e inanimata, ha valore unicamente se e in quanto merce, prodotto da vendere. L’amore per la natura deve essere una battaglia continua con chi è privo di intelligenza naturalistica, sia esso uomo comune o un uomo delle Istituzioni, ognuno di noi deve operare per il bene dei valori naturalistici che esprime il territorio, pur nella consapevolezza che non tutte le persone detengono una sensibilità naturalistica e allora, non avendo rispetto per l’ambiente, esso ne risente e i sintomi sono gli incendi, i disboscamenti, gli inquinamenti, i dissesti idrogeologici, i rifiuti, insomma, la mancanza di rispetto per l’ambiente. I rifiuti, ovvero, la faccia scura della nostra civiltà opulenta, quindi bisogna “educare” la popolazione ad essere più rispettosa verso l’ambiente.
Certamente la repressione non può bastare a controllare e reprimere questo increscioso fenomeno che purtroppo va attribuito ad una causa sociale che scaturisce dallo scarso senso civico e da una marcata presenza di illegalità diffusa, in particolare nelle zone del meridione d’Italia dove più accentuato è il divario culturale relativo alle problematiche ambientali. E’ difficile interagire con chi è privo di cultura dell’ambiente che faccia comprendere la vera importanza del nostro patrimonio naturale. A volte nei comportamenti, anche i più attenti alle problematiche ambientali, si lasciano avvolgere dal torpore spirituale che tende a spegnere l’amore per l’ambiente naturale. Quando sono in discussione gli interessi della collettività, é lo Stato che dovrebbe intervenire. Ma quale Stato, quali Istituzioni? In alcuni casi lo Stato (o chi lo rappresenta) diventa debole e ha paura di avere coraggio nel prendere delle decisioni impopolari, anche quando un territorio volge alla noncuranza e all’oblio.

TUTELA AMBIENTALE

Non bisogna certo avere una mente eccelsa per comprendere che l’interesse del legislatore verso la natura e l’ambiente, sembra oramai una foto sbiadita, che tende a scomparire definitivamente dalle tematiche politico-sociali che si discutono oggi, e allora, come in un gioco onirico, l’animo contemplativo di chi è attento alle problematiche ambientali, molte volte, si infrange sugli irti scogli della noncuranza che i “nostri” politici governanti nutrono verso i beni naturalistici del creato. La conoscenza degli aspetti legislativi attinenti al settore ambientale può rappresentare per l’uomo fonte di arricchimento culturale riguardo a tematiche naturalistiche. Nell’ordinamento giuridico italiano la protezione dell’ambiente, bene che assurge a valore primario e assoluto, è imposta dai precetti costituzionali (La Repubblica tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione – art. 9 Costituzione Italiana). Inoltre, al di fuori degli ordinamenti scritti dall’uomo, sono sottintese le norme che non amano i codici e che provengono direttamente dal nostro cuore che dobbiamo sapere ascoltare. Pertanto, la configurabilità dell’ambiente come bene giuridico e trascendentale non può essere ignorata e calpestata dall’uomo attraverso tagli continui alle risorse finanziarie, perché essa rappresenta una garanzia per consentire una qualità della vita a livelli accettabili. Eppure, il legislatore con la sua mente piccola, non ha ancora la piena consapevolezza della gravissima crisi ambientale che gli uomini con l’intelligenza naturalistica, figli di questa terra splendida ma martoriata dalla ipocrisia dei “senza anima” stanno vivendo. Una crisi che nessuna ideologia o sistema riusciranno facilmente a oltrepassare, e che non troverà certo soluzione in appelli e impegni sempre meno credibili, sullo scenario di un progresso a tutti i costi a oltraggio dell’ambiente, dell’espansione illimitata a spese dei più deboli e degli egoismi individuali, che chiudono mente e cuore al vero equilibrio della vita.
L’umanità sta commettendo un grave errore e la “Madre terra” da dove veniamo tutti noi sembra lontanissima e vaga, non guardiamo più alla bellezza del pianeta ma solo a quanto può fare per la nostra specie e cosa ci permette di produrre. Lasciamo impronte ovunque andiamo, il pianeta è nostro e tutto ciò che vive intorno a noi è danneggiato dalla nostra esistenza. E ora, dove andremo? Forse stiamo sognando se pensiamo di andare avanti con questa frenetica crescita senza che vi siano conseguenze per l’ambiente. Come siamo arrivati a questo punto in cui non vediamo più ciò che ci circonda? Quante volte ognuno di noi ha dovuto pensare che alcune circostanze o accadimenti non sono in linea con le dotazioni culturali naturalistiche di un paese civile? Che futuro ha un popolo che non rispetta il suo ambiente naturale? Un grande capo indiano affermava che la terra non appartiene all’uomo, ma e’ l’uomo che appartiene alla terra, tuttavia, non possiamo fermarci a degli slogan filosofici che arricchiscono la mente e a volte impoveriscono la praticità giornaliera dell’agire che invece va corroborata.
E’ necessario conoscere e rispettare le leggi che regolano la natura e preservare dalla distruzione le risorse di cui disponiamo. Talvolta, ci si sente chiedere: l’uomo non può vivere ugualmente bene anche se alle infinite specie di animali e vegetali che si sono estinte nel passato se ne aggiungano ancora delle altre? Non può vivere egualmente bene sottoponendo tutti i boschi a indiscriminati tagli, senza lasciare nessuna area allo stato naturale? Ma perché difendere l’Ambiente? Innanzi tutto dobbiamo difendere gli ambienti naturali e le specie rare per motivi scientifici che rappresentano uno sviluppo di idee, di teorie, il cui primo scopo è cercare di spiegare il mondo in cui viviamo e i suoi fenomeni.
Qualsiasi specie di animali o di vegetali e qualsiasi ambiente ancora preservato all’azione nefasta dell’uomo può prestarsi a studi del più alto interesse, che possono arrecare grandi contributi alla conoscenza delle leggi della natura. Un altro motivo per cui dobbiamo difendere gli ambienti naturali è la salvaguardia della diversità degli esseri viventi, animali o vegetali, risultato di una lunga evoluzione, costituisce una delle più importanti condizioni della stabilità della biosfera nel tempo. La nostra storia di uomini assennati ci porta a volte a “vivere come vittime” questa condizione, senza alcuna speranza che tutto può cambiare, usiamo ciò per giustificare le nostre azioni…questo è frustrante. La percezione che oggi abbiamo seguendo i mass-media, è quella di un Pianeta quale sistema chiuso, nel quale ogni risorsa naturale trova i suoi limiti nella disponibilità e nella capacità di assorbimento dell’ecosistema, in altre parole la coscienza dei limiti dello sviluppo di questa nostra società contemporanea, ha aperto la strada ad un dibattito alquanto profondo e ad una crescente attenzione da parte della comunità scientifica e della società civile.
La tutela e la salvaguardia dell’ambiente passa attraverso l’apprendimento e lo studio di tutte le componenti che con esso interagiscono. Il rapporto che l’uomo ha saputo nei secoli creare con l’ambiente si fonda proprio su benefici e difficoltà che hanno caratterizzato le attività antropiche che ivi si sono sviluppate e che hanno reso le aree naturalistiche fonte di benessere per la qualità della vita, creatrici di ambiti ricreazionali nonché protagoniste nella conservazione e valorizzazione del patrimonio ambientale, paesaggistico ed idrogeologico. La conservazione dell’ambiente e la salvaguardia della sua funzionalità si pongono in quanto funzionali alla perpetuazione del flusso di utilità che da esso è possibile ritrarre vale per quanto produce, anche se sono beni non facilmente monetizzabili come ossigeno, fauna selvatica, spazio ricreativo, paesaggio, ecc..
Oggi, nei paesi industrializzati, la società chiede a voce alta questi valori, come il miglioramento della qualità ambientale (aria, acqua non inquinate, ecc.) e della vita anche sotto il profilo paesaggistico, culturale e spirituale. Dunque, l’ambiente come capitale da salvaguardare, nella considerazione del rapporto critico tra crescita ed ecosistema e del processo irreversibile costituito dallo sfruttamento delle risorse non rinnovabili. Forse non è lontano il momento in cui l’umanità dovrà guardarsi allo specchio e fare i conti con un forviante concetto di progresso e di sviluppo a tutti i costi, forse arriverà il tempo di trovare radicali soluzioni ad un quadro globale devastante che, di giorno in giorno, si aggrava sempre di più. Con un pizzico di auspicabile ottimismo, dobbiamo augurarci che qualcuno, chi deve decidere, si accorga dei propri errori ed arrivi il momento in cui si renda conto che l’inestimabile valore ambientale è meritevole di grande attenzione e tutela. Pur sapendo cosa sta accadendo, non possiamo più cambiare il corso degli avvenimenti, ma forse una nostra coscienza collettiva innescherà una reazione a catena e salverà la nostra specie se reagiremo in tempo. L’uomo può evolversi positivamente solo se capisce che è in armonia con i beni di “Madre natura” e per capirlo deve tornare indietro e cercare nel passato le proprie origini naturalistiche. Solo il ritorno alla Terra e alla Natura, come energie ispiratrici e benevole, e la riscoperta del Creato come patrimonio prezioso da non sperperare, vero bene naturale comune da preservare con cura anche per i figli dei nostri figli, faranno superare tutte le difficoltà e renderanno più agevole qualsiasi ostacolo.
Dalla consapevolezza di voler operare verso azioni orientate alla ecogestione del territorio e delle attività antropiche prende l’avvio il concetto di “Sostenibilità globale e locale” e “Sviluppo Sostenibile”, che deve semplicemente garantire i bisogni delle generazioni attuali senza compromettere la possibilità che le generazioni future riescano a soddisfare i propri, ciò attraverso l’armonizzazione di elementi sociali, economici ed ambientali. Insomma, un miglioramento della qualità della vita, senza eccedere la capacità di carico degli ecosistemi di supporto, dai quali essa dipende. Il concetto informatore di questo modello di sviluppo, compatibile con le esigenze di tutela e salvaguardia delle risorse e capitale dell’umanità, ripropone una visione del mondo nella quale il fine ultimo è rappresentato dal raggiungimento di una migliore qualità della vita, dalla diffusione di una prosperità collettiva crescente ed equa, dal conseguimento di un livello ambientale non dannoso per l’uomo e per le altre specie viventi e nel quale sia possibile una più equa accessibilità alle risorse.
Insomma, diventa essenziale incentivare lo “sviluppo sostenibile” e far fronte alle esigenze della generazione attuale senza compromettere il benessere delle generazioni future. Questo è un principio che, se attuato, può portare ad un rapporto migliore uomo-ambiente, può aiutare a consegnare nelle mani dei nostri figli e nipoti, un mondo meno malato di quello che attualmente abbiamo, che, ogni giorno, soffre sempre più. Se tutti noi facessimo qualcosa per e nel il rispetto dell’ambiente, avremmo fatto il bene dei nostri figli.

Querce secolari

LE QUERCE CENTENARIE DI MONTE EGITTO DI BRONTE

(di E. Crimi)

          Il bosco incantato di Monte Egitto, un luogo davvero fatato nel quale prendono forma i sogni. Tra una folta pineta, a circa 1600 metri di quota slm, all’interno del millenario vulcano spento di Monte Egitto, in territorio di Bronte, esistono alcune maestose querce della specie “Quercus pubescens”, definite “Grandi patriarchi” della vegetazione naturale presente su tutto il territorio etneo e non solo, dall’età vetusta di oltre 500 anni. La determinazione delle Querce, è spesso resa difficile dalla presenza di numerosissime specie e individui ibridi che, malgrado fra di essi non esistano delle vere e proprie separazioni genetiche e di carattere morfologico, riducono la conoscenza delle singole varietà. Queste diversificazioni diventano molto attenuate quando più specie vivono a contatto diretto. Robusta, possente e longeva, la quercia simboleggia la forza e la saggezza sin dai tempi greco-romani.
Considerata da molti popoli arcaici come la prima pianta a fare la sua apparizione sulla terra, la quercia è la pianta mediterranea per eccellenza, predilige i luoghi molto luminosi e vegeta sui terreni di qualsiasi natura, anche se predilige quelli calcarei. Il tronco è robusto e la chioma densa e irregolare, i rami giovani sono coperti da un feltro lanuginoso biancastro. La corteccia è bruno scuro, fratturata in placche isodiametriche. Le foglie, non molto grandi, hanno un picciuolo breve, la loblatura profonda ed acuta, sono oblanceolate, chiare-tomentose dalla parte inferiore e verdi scure dalla parte superiore. Evidenziano una leggera peluria quando sono giovani, lisce e lucide appena raggiungono le dimensioni definitive. La cupula è a squame lanceolate. Il legno di roverella viene utilizzato per ardere e trasformato in carbone vegetale.
Si narra che questi alberi monumentali, sembra siano dimora di comunità fatate, e che piccoli esseri magici difendono strenuamente la loro secolare esistenza dagli attacchi dell’uomo e del tempo. Queste creature dalle bizzarre forme, che da sempre hanno popolato la fantasia ed alimentato le leggende, ora entrano attivamente nel mondo irreale di Monte Egitto, rendendo questo luogo, sede privilegiata di incontri arcani ed apparizioni in cui paure, incertezze, immaginazione, sanno di incanto e di meraviglia. Pare sia solo questione di sensibilità, ed ecco che d’improvviso la loro presenza si materializza e smaterializza in pochi istanti. Alcuni escursionisti giurano di aver visto questi esseri magici e forse anche, orchi e streghe, aggirarsi in questo luogo di presunti incantesimi e sortilegi, sito del mistero e delle potenze divine, dove viene approfondito il rapporto storico tra uomo e natura coniugando storia, tradizioni, fantasia e scienza. Questi alberi monumentali, che incutono, per dimensione e vetustà, rispetto e meraviglia, sono anche facile oggetto di leggende o di aneddoti, raramente veritieri, perché quì tutto sembra incantato e l’ambiente è ideale per trasformare le leggende in realtà. Forse si è originato tra queste querce il mito di Giasone e il “Vello d’oro”.
Insomma, un itinerario tra il fantastico e l’ecologico, in un remoto cratere spento dell’Etna occidentale, a cui fanno da cornice immense colate laviche di diverse epoche, anfratti e grotte oramai vacui, che offrirono riparo alle belve, ai primi uomini preistorici, ai contadini, armenti e pastori dei nostri tempi. Il confine tra cultura, scienza, fantasia, reale ed immaginario è uno spazio che, ricollegandosi alla tradizione del mondo dell’immaginario, potremmo definire come “Mondo di Mezzo” dei film fantastici, è quello spazio che può costantemente cogliere l’intelligenza, unica capace di trasformare ciò che è invisibile alla cultura, in cose reali e riferimenti certi. Un luogo incontaminato, preservato, che nasconde un mistero salutare e benefico che si intreccia con il mito del grande Signore del fuoco: l’Etna. In verità, chi ha la fortuna di passeggiare tra queste monumentali piante con i sensi desti e l’anima ricettiva alla contemplazione, può percepisce la potenza magica di questa straordinaria vegetazione secolare, può cogliere la magia della luce che filtra tra gli alberi, il mormorio del vento, il richiamo degli animali, il canto degli uccelli ed esclama come il poeta Esiodo: “Certamente questo luogo è sacro”.
Si, questo luogo è davvero sacro e popolato da molte forme di vita, piante ed animali, che nell’interazione con la cultura umana e gli occhi ascetici, hanno anche contribuito a comporre nell’immaginario collettivo, la parvenza di molti esseri fatati. Nella condizione umana reale questi alberi ultra centenari di querce, forse conosciuti dall’uomo ancora prima della scoperta del Nuovo Continente Americano, sono solo un’entità tangibile che per la loro età potrebbero raccontare la storia antica e recente di questo vasto comprensorio e i doviziosi intrecci con le popolazioni locali. Essi, dal solo fatto di essere stati, per longevità, muti testimoni di secoli di storia, sono testimoni solenni di tutti gli eventi ai quali sono sopravvissuti nel corso del tempo, al passaggio di tanti uomini, culture e civiltà che hanno contraddistinto in passato queste terre, dove vivono ancora.
Questi alberi assumono una grande importanza anche come habitat, dando rifugio a moltissime specie di insetti, di uccelli e anche di mammiferi. La presenza di queste piante secolari aumenta quindi la diversità di questo ambiente e conseguentemente il numero di specie animali e vegetali presenti in questo territorio, aumenta complessivamente quella che attualmente viene definita con il termine “biodiversità”. Non abbiamo notizie storiche certe riguardo l’origine e la gestione che hanno consentito la grande longevità di queste piante secolari presenti in questo comprensorio.
Le poche frammentarie e verosimili informazioni, che pur hanno una base di veridicità, sono state ricavate da notizie e racconti che ci hanno lasciato gli anziani, storie e ipotesi che a loro volta hanno sentito da altri anziani, che nel corso dei secoli si sono succeduti su queste terre. Già in pieno XVI° secolo, gli ordini monastici, che nei secoli precedenti avevano sostenuto e dato impulso alla conversione delle foreste in aree agricole, iniziarono a proteggere e potenziare le aree boschive poste sotto il loro controllo. L’Italia di allora era soltanto un’entità geografica divisa e certamente mancava del requisito dell’uniformità tra i vari Stati, tuttavia, straordinari documenti di allora, testimoniano come in questo periodo i boschi erano considerati una importante risorsa e l’indirizzo era comune ed interessava la salvaguardia del patrimonio forestale. Si stava formando una nuova concezione di bosco più attenta alla gestione ecologica. La visione del bosco era intesa come esclusiva utilità e patrimonio comune delle comunità montane che ne esercitavano un’attenta gestione finalizzata alla mera difesa del suolo dai degradi e dissesti idrogeologici.
Verosimilmente queste piante secolari si possono inserire all’interno di un contesto ben consolidato di utilizzo di queste superfici a pascolo arborato, nelle quali, dovendo necessariamente esercitare il pascolo, con grande equilibrio colturale, si tende a conservare anche gli alberi che isolati, o in gruppi, coprono più o meno il terreno in modo che il loro numero possa assicurare una copertura arborea e nello stesso tempo, non possa mai essere a detrimento della produzione erbacea da pascolo. Si pensa che queste piante erano tenute in grande considerazione per la raccolta delle ghiande da destinare agli animali domestici e per il pascolo brado; il fogliame serviva da lettiera per il bestiame e le frasche fornivano un’integrazione alimentare. Inoltre, le piante fornivano legna secca per cucinare e per il riscaldamento degli antichi ricoveri pastorali montani in pietra lavica, ancora oggi ben presenti e conservati in zona.
Questi usi, che erano ben impiegati su tutto il comprensorio etneo, testimoniano l’esistenza nel passato di un’intensa attività di pascolo estensivo che ha portato nel tempo alla formazione e allo sviluppo di una folta cotica erbosa la quale nel periodo estivo, stimolava la transumanza delle greggi, che accompagnate dai loro pastori e dai loro cani, si spostavano dalle cosiddette zone pianeggianti per recarsi all’alpeggio su questi ampi territori del comprensorio di Monte Egitto ed ancora più ad alta quota. Il pascolo intenso e non selezionato del passato, sommato alle condizioni climatiche dei luoghi, bloccava qualsiasi processo evolutivo verso formazioni vegetazionali più avanzate e uniformi. Quindi, nel corso dei secoli, si sono formate queste caratteristiche praterie etnee che in questo settore specifico erano molto ampie e diffuse, tanto che agli inizi degli anni sessanta, dopo secoli di consuetudini, si è tentato di ristudiare attraverso un’attenta regolamentazione dell’esercizio del pascolo, ed in particolare del carico di bestiame assegnato e del rimboschimento con una pineta artificiale.

Querce secolari

     Questi alberi ultracentenari, che andrebbero inserite nell’apposito Registro Nazionale delle piante Monumentali, corrispondono a precisi criteri di dimensione, rarità botanica, forma, valore paesaggistico, pregio in termini di architettura vegetale e legame con gli eventi storici, insomma, sono un patrimonio della Terra e di questo territorio, perché sono riusciti a sopravvivere a siccità e alluvioni, incendi e malattie, inquinamento e devastazione umana ed eventi naturali. In definitiva, sono veri “campioni”, esemplari geneticamente più forti che hanno vinto la gara della selezione naturale, ma che hanno bisogno di continua protezione. I grandi alberi veri patriarchi della natura, richiamano sempre più l’attenzione e impongono attente riflessioni in ordine all’opportunità o alla necessità di prevedere per essi specifiche misure volte alla tutela o a favorire la loro conservazione nel tempo. La loro straordinaria età, per certi versi, rappresenta una minaccia per la loro stessa vita che in fase così avanzata, risente il peso della grande competizione biologica che devono affrontare con le altre piante più giovani del comprensorio, ed in particolare con il pino laricio artificiale ivi impiantato, che per natura è un grande colonizzatore. Insomma, una concorrenza impari che va aiutata attraverso la predisposizione e pianificazione di uno straordinario progetto d’intervento pluriennale finalizzato a valorizzare e fare emergere i valori ecologici di queste piante.
Ecco, l’uomo, se vuole ancora godere della loro arcaica presenza, deve proteggere questi sui straordinari patrimoni ecologici attraverso interventi silvo-colturali che prevedano tagli di diradamento libero equilibrati e di modesta entità delle piante di pino concorrenti che asserragliano le querce secolari. L’intervento deve essere mirato e discreto, eseguito a macchia di leopardo, distanziato nel tempo e nello spazio, per non compromettere la funzione ambientale del bosco, con l’obiettivo di sostenere queste “piante madri” nel percorso di vita che ancora li aspetta, in modo da assicurare loro una maggiore esposizione alla luce del sole e renderle più vigorose, favorire la mineralizzazione della sostanza organica indecomposta sul suolo, facilitare la crescita del sottobosco e della flora spontanea e aiutarle nel mantenimento dell’equilibrio del sistema di animali e vegetali che rappresenta le irrinunciabili risorse uniche per l’uomo.

Catena alimentare naturale

di E. Crimi

     Non vi deve essere stupore o tristezza nelle manifestazioni di “Madre Natura”, perche essa crea la vita e a volte la modifica a suo piacimento. La catena alimentare é una gerarchia, una piramide spietata, la natura non tollera eccessi, c’è sempre un predatore che attende un altro predatore.
Si è così, è solo la natura che attiva la catena alimentare, essenziale risorsa che serve anche ad apportare modifiche selettive benefiche alla vita selvatica. Praticamente, è un continuo divenire e alla fine il risultato è che ogni elemento in natura è un insieme, talora persino disorganico, di malattie, pezzi di vita, di lotte, coraggio, paura e debolezze, morti e rinascite. Soccombono i più deboli, forse ciò é crudele ma certamente necessario e inevitabile perché ogni animale selvatico che vive in natura per sopravvivere deve cacciare, può anche non piacere ma é la natura che si autoseleziona.
Non ci si può indignare davanti alle selezioni naturali, ma bisogna condannare gli attacchi che l’uomo indiscriminatamente volge contro di essa. La predazione governa l’evoluzione della specie e l’uomo é l’ultimo anello nella catena della vita, non abbiamo predatori al di sopra di noi. La natura è un bene perfetto che però risente degli interventi dell’uomo, in modo benefico quando esso agisce positivamente, in modo nocivo, quando gli interventi vengono posti in essere in forma deleteria, ecco, allora i risultati sono disastrosi e le conseguenze imprevedibili.

Catena_alimentare

Etna patrimonio dell’Unesco

 Pubblicato su newsicilia.it

Etna patrimonio dell’Unesco, ma l’inquinamento aumenta

rifiuti

 

CATANIA - Lo scempio che giorno dopo giorno si verifica e a cui è sottoposto il nostro vulcano, l’Etna, si amplifica per mano di persone inqualificabili e rattrista gli animi di tutti coloro che amano il paesaggio naturale. Se i nostri antenati scoprissero ciò che accade, inorridirebbero all’idea della violenza inquinante con la quale hanno usurpato “a nostra muntagna” ovvero Mongibello.

Oggi le foto parlano chiaro: le pendici della nostra montagna sono ridotte ad un ammasso di rifiuti. Per tale ragione abbiamo avviato incontri con le istituzioni, per capire che cosa sta succedendo e su come agiscono le autorità competenti per il controllo del territorio paesaggistico e ambientale.

A tal fine, abbiamo dato priorità all’incontro con il commissario superiore Gianluca Ferlito, comandante del nucleo operativo provinciale del Corpo Forestale di Catania, che ha risposto alle nostre domande.

 

com-nop

 

L’Etna, patrimonio dell’umanità riconosciuto dall’Unesco ridotto in questo modo, com’è possibile?

“Sono fortemente addolorato nel constatare una cosa del genere, purtroppo il territorio è molto vasto e sebbene i nostri controlli e la nostra sorveglianza siano ‘no-stop’, non riusciamo a svolgere un monitoraggio capillare e capace di reprimere tutti i reati di abbandono di rifiuti. Da più di due anni abbiamo chiesto al parco dell’Etna di provvedere ad un sistema di controllo mediante un impianto di video sorveglianza, ma capisco anche che i costi risulterebbero molto gravosi.

A dire il vero, adottando un sistema di videocontrollo intelligente programmato con l’uso di apparecchiature alimentate da energia alternativa, forse, si potrebbe.

Non c’è dubbio che gli enti parchi dovrebbero impegnarsi con progetti prioritari onde evitare fenomeni di abbandono. Il complesso vulcanico dell’Etna riveste particolare importanza e l’attività di controllo, collegata anche al maggior pericolo per la pubblica incolumità, deve essere garantita di concerto con la prefettura di Catania e gli organi preposti come l’INGV, l’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia e la Protezione civile. 

In merito al tema dello scempio abbiamo voluto approfondire recandoci nella sede del corpo forestale di Catania, diretto da Antonio Lo Dico, per parlare dell’attività di P.G. e P.S., con il responsabile Giovanni Gubernale.

La situazione sull’Etna è diventata a dir poco paradossale. Il vulcano corre il rischio di essere trasformato in un vero e proprio letamaio?

“In relazione ai compiti istituzionali, il Corpo Forestale opera in ambito regionale con compiti specifici, al fine di perseguire l’obiettivo primario della “sorveglianza”, del controllo, della difesa e della valorizzazione del territorio forestale e montano, del suolo, dell’ambiente naturale e delle aree protette; e il territorio etneo riveste particolare attenzione per l’aspetto paesaggistico collegato con gli Enti parco e con i Gestori delle riserve naturali presenti all’interno che comprendono il 40 per cento del territorio e precisamente il Parco dell’Etna, il Parco dei Nebrodi, il Parco Fluviale dell’Alcantara, le riserve di “Immacolatella (San Gregorio di Catania), il fiume “Fiumefreddo”, la Timpa di Acireale e l’Oasi del Simeto”.

Un immenso patrimonio da salvaguardare e da controllare e si comprende come possa essere difficile poter gestire le attività di controllo.

Tra i molteplici compiti istituzionali assegnati in ambito di tutela ambientale e controllo del territorio, il Corpo forestale esegue periodicamente censimenti dei punti soggetti a scarico di rifiuti di qualsiasi natura, ricadenti all’interno del Parco dell’Etna”.

Si, ma di che tipo di rifiuti si tratta?

Le tipologie di rifiuto variano da quello urbano non differenziato a scarti di materiali edili, lastre in fibro-cemento (eternit), carcasse d’auto, copertoni, materiali plastici, frigoriferi, cucine, divani e tanto altro genere. La loro ubicazione, purtroppo interessa buona parte del parco, come la località “Ruvolita, Passo Zingaro e Parlata” nel comprensorio di Adrano; le località “SS.Cristo”, “Ciapparo”, “Barbotte-Nave” nel comprensorio di Bronte; le località “Montarsi”, “Nocille”, “Ripe della Naca” nel comprensorio di Giarre; le località “Fossazza, Roccacampana, Chiuse Nocille, Borrilione, Vignazza, Cerro, Piano Felci, Casazza”, nel comprensorio di Castiglione di Sicilia e di competenza del Distaccamento Forestale di Linguaglossa; le località di “Gallinaro, Serruggeri, Gervasi, Rinazzo, San Leo, Molinaro, Milia, Monte Arso, Cozzarelli”, nel comprensorio di Nicolosi; le località “Dagala Longa, Ravaggi, Bocca Dorzo, Montelaguardia” di Randazzo; le località “Monte Arcimis, Pozzo Cavotta, Dagalone, nel comprensorio di Zafferana Etnea”.

E come si provvede a bonificare le aree?

In sinergia con le amministrazioni locali, spesso vengono eseguite le operazioni di rimozione dei materiali, anche se la complessità della materia imporrebbe una maggiore sensibilizzazione da parte di tutti gli organi competenti in materia ambientale“.

Imporebbe?… o impone!

Il Corpo Forestale non solo espleta l’attività repressiva che viene condotta con la presenza sul territorio utilizzando anche moderne tecnologie di monitoraggio e controllo dello stesso. Ma vi è l’assoluta necessità di effettuare impianti di video controllo sofisticati e moderni, pronti a a reprimere, ma anche a dissuadere scempi di tale portata. Poi l’azione repressiva ha bisogno di essere coadiuvata dell’azione educativa e divulgativa da parte delle scuole dell’obbligo, mediante l’attività di una vera e propria educazione ambientale, per arrivare al conseguimento di specifiche professionalità, accogliendo istanze di tirocinio pratico per la stesura di tesi di laurea presso questo Ispettorato“.

L’Etna, il colosso che sovrasta la Sicilia, viene ammirato e amato da migliaia di anni. Attraverso carmi e melodie per la sua attraente bellezza, i suoi paesaggi fatati, le sue aurore paradisiache e i suoi tramonti incantevoli è stato reso immortale persino nei ricordi. Senza dimenticare il suo carattere mite, pacioccone ma a volte irruento, che ha attirato l’attenzione di milioni di persone desiderose di venire a trovarlo e anche ad innamorarsene. Può davvero essere il degrado il suo destino?

Giuseppe Firrincieli
(newsicilia.it 20/01/2015)

 

Il Grande Faggio scuro

Qualche metro prima di arrivare al bivio per la contrada Flascio, lungo la SS.120 che da Randazzo conduce a Cesarò, vi è un breve spiazzo dal quale si inerpica la regia trazzera che attraverso l’estrema propaggine sud dei monti nebrodi porta a Floresta. Quasi al confine territoriale con l’ameno paese nebrodeo, affioramenti di roccia sedimentaria danno immagine a straordinarie sculture naturali modellate dal tempo che si ergono nel loro immobilismo come a volere testimoniare la loro possente presenza a guardia delle meraviglie naturalistiche di questo territorio. In questo angolo di territorio, dove la natura ha voluto esprimere la sua generosità, hanno il giusto risalto boschi misti disetanei di faggio, acero, cerro e castagno che, per certi versi ancora tèrsi, si stagliano nel cielo e scendono fino agli argini del fiume Alcantara, offrendo spunti per riflessioni contemplative. Qui, ai bordi di questa vetusta regia trazzera, nel comprensorio territoriale di Pietre Bianche, in agro di Randazzo, fanno da cornice veri e propri capostipiti della flora arborea presente nell’area. Uno di questi “grandi patriarchi” della vegetazione naturale presente su tutto il territorio, è il grande faggio scuro, ovvero uno splendido esemplare di faggio di almeno 500 anni di vita, vegetante in quest’area, che per la sua centenaria età potrebbe raccontare la storia antica e recente di questo vasto comprensorio, i doviziosi intrecci con le popolazioni locali, sempre presente e testimone del passaggio di tante tradizioni, culture e civiltà che hanno contraddistinto in passato queste terre che si specchiano nel fiume Alcantara. Il faggio (Fagus Sylvatica), della famiglia delle fagaceae in Sicilia ha il proprio estremo limite meridionale e occupa le quote più elevate delle stazioni presenti in Europa, riuscendo addirittura a vegetare sull’Etna sino a circa 2200 metri di altitudine. La pianta “madre” della fascia fitoclimatica del fagetum, costituisce sicuramente una delle essenze forestali caducifoglie più importanti presenti nel panorama naturalistico isolano. La corteccia è grigio-argentata, le foglie sono piccole ed ovali con margine intero a volte ondulato, di colore verde intenso dalla parte superiore e leggermente più chiaro nella pagina inferiore. Nel periodo autunnale offrono una suggestiva impressione cromatica quando prima di cadere passano, dal verde intenso al giallo e infine, al marrone.
Il faggio, maestoso nella sua portanza, può raggiungere l’altezza di circa 30 metri. Il tronco in prevalenza diritto e regolare, detiene ottime caratteristiche strutturali che ne favoriscono la sua utilizzazione nei più svariati lavori. La chioma a mosaico con le foglie adulte tutte posizionate sullo stesso piano, si presenta ampia, densa e appariscente, rendendole un portamento inconfondibile. Le inflorescenze maschili sono rappresentate da “spighe penduli” tondeggianti, sostenute da lunghi peduncoli; quelle femminili da fiori racchiusi a due a due nelle ascelle delle foglie. I frutti del faggio hanno peculiarità similari ai ricci del castagno e quando a maturità si aprono, lasciano cadere dei semi, denominati “faggiole” ,   molto ricche di olio che si maturano in un anno .
In passato il faggio veniva ceduato per farne legname da opera e utilizzato nella costruzione di arnesi da lavoro e per la realizzazione di sofisticati mobili ad intarsio. Lo stesso veniva usato come legna da ardere o trasformato in carbone vegetale.
Come tantissime altre piante, il faggio è stato sempre accostato dai popoli antichi, a miti e leggende. Ad esso sono stati attribuiti anche poteri magici e per questo è stato oggetto di culto. Nella foresta di Verzy in Francia, la presenza di alcuni faggi, per la loro conformazione, inquietava il popolo, convinto di avere a che fare con creature mostruose. In Lussemburgo si pensava che il faggio fosse una pianta protetta dagli dei e quindi non poteva essere distrutta neanche dal fulmine.
Vincenzo CRIMI
(Commissario del Corpo Forestale)

Randazzo e i suoi Parchi

Randazzo e i suoi tre Parchi Naturali

L’Etna e i suoi territori lavici, anche se apparentemente inerti e poco ospitali, sono elementi e aree ricche, da subito colonizzate da specie erbacee, arbustive ed anche arboree, a loro volta rifugio o cibo per diverse specie di animali.
I Nebrodi, dove i rigogliosi boschi, come veri e propri “Santuari della natura”, sono i protagonisti indiscussi della storia di questo territorio, un ambiente tutto da scoprire, da saper amare e guardare con il dovuto rispetto.
Il sistema fluviale dell’Alcantara rappresenta un connotato naturalistico che ha dell’eccezionale, ove la natura ha saputo modellare l’ambiente in modo straordinario e unico.

Un trittico di grande valore naturalistico, ovvero, la rappresentazione reale di questo intrigante territorio, che testimonia all’uomo moderno la grandezza della natura. Le peculiarità geologiche, le presenze faunistiche e botaniche, tutto contribuisce a fare di questo vasto comprensorio un ecosistema veramente raro.

Vincenzo Crimi