Randazzo

RANDAZZO: CITTA’ DEL FIUME

          Randazzo è la prima antica  città che troviamo  tra la valle del fiume Alcantara e l’Etna, il grande “signore del fuoco”.

          La sua posizione, geograficamente strategica, le ha consentito di assumere, un tempo, una grande importanza dal punto di vista militare e politico.

          Città di grande retaggio dovuto al susseguirsi di straordinari eventi antropologici, vide il suo massimo splendore nel periodo medievale, quando era  frequentata da  re, regine e corti reali che  hanno lasciato a questa cittadina,  pregevolissime  ricchezze storiche artistiche e architettoniche, che ancora oggi servono a  testimoniare il suo vecchio splendore. Transitare per questi luoghi è come fare un viaggio nel tempo, attraverso intere città sepolte, castelli e torri medievali, aree di interesse archeologico, opere architettoniche di grande pregio,  chiese, palazzi  e musei che come scrigni custodiscono ancora  preziosi tesori d’arte di grande valore storico e culturale.

          Il nome, dopo tantissimi secoli, sa ancora di mistero e varie sono le ipotesi a cui va ascritta la sua origine. Quindi noi lasceremo questo dilemma agli storici. Sappiamo  soltanto che  da alcuni antichi studiosi era chiamata Triatium perchè distinta in tre parti. Questa circostanza viene sostenuta dal fatto che tre sono stati i popoli che per un lungo periodo si sono contesi questa città e che forse hanno compartecipato alla sua fondazione: i Greci, insediati nel quartiere di San Nicolò, i latini stanziati attorno alla chiesa di Santa Maria ed infine i Lombardi, venuti al seguito dei Normanni stabiliti nel rione intorno alla  chiesa di San Martino, dove ancora svetta il più bel campanile medievale di Sicilia, corredato di raffinate finestre bifore e trifore, realizzate con pietre bianche arenarie e nere laviche che danno alla struttura una piacevole visione cromatica di rilevante fascino. Quindi una  composizione trittica che racchiude tre popoli, tre lingue, tre chiese e persino tre strade che tagliano il paese da oriente ad occidente: la strada Soprana, la strada Sottana e la strada Esterna che accostandosi sotto le mura di cinta a sud, arriva sino alla porta medievale di levante.

          Ricco di valori storici e di opere d’arte, il suo centro medievale è percorso da piccole viuzze, spesso strette ed incantevoli, dalle singolari nomenclature, che si aprono su scorci straordinariamente pittoreschi e di grande richiamo.

          Chi non ha memoria non ha futuro e attraversando questi luoghi, antiche suggestioni ci richiamano alla mente un passato non proprio remoto, quando si fiutava l’aria impregnata delle essenze mediterranee, del profumo di vecchie cantine e di vino cotto, della fragranza dei dolci fatti in casa,  dell’aroma del miele, della prelibatezza dei formaggi e dell’effluvio del  pane cotto a legna e condito con l’olio d’oliva, odori che s’inseguono in un succedersi di gustosi sapori genuini, a dispetto della magia balorda delle luci del consumismo.

          Come si accennava sopra, nel periodo medievale di maggiore splendore, la città era chiusa da una cortina muraria che si attaccava sui contrafforti del colle di San Pietro. L’ingresso alla città, era consentito attraverso quattro porte principali che ancora, dopo un adeguato restauro, rappresentano un pezzo di storia locale. Esse si affacciano a levante, dove era la porta aragonese, a ponente la porta di San Martino o  della  dogana, a mezzogiorno, la porta di San Giuseppe e a tramontana dove è visibile e ancora in ottime condizioni, la porta Pugliese.

          L’appassionato  può ammirare ancora una parte consistente di queste vecchie mura di cinta, elevate al cielo come a volere ancora oggi custodire i reperti monumentali di notevole interesse artistico e storico conservate al loro interno.

          Attraverso un percorso ideale, si possono visitare, oltre le mura, la chiesa di San Martino, il Castello Svevo, già sede di prigioni e oggi del Museo archeologico “Paolo Vagliasindi del Castello”, dove sono raccolti alcuni reperti provenienti  dal sito archeologico di S.Anastasia-Acquafredda, a pochi chilometri da Randazzo, al confine territoriale con Castiglione di Sicilia. Alcuni scavi archeologici effettuati in quest’area, hanno infatti permesso di portare alla luce i resti di un’antica città greca del IV – VI secolo a.C., probabilmente identificata nell’antica  “Tissa”.

          Il Castello o carcere, ha sempre ricoperto una determinante posizione strategica, in quanto era stato costruito su antiche balze laviche, lungo le poderose mura di cinta dove  si affacciava  sul  torrente Annunziata, emissario del lago Gurrida. Era dotato di un’alta torre di avvistamento e di difesa da eventuali incursioni ostili provenienti da  occidente,.

          Il lago Gurrida oggi non a torto, può considerarsi come una delle poche aree umide presenti in Sicilia, ben inserito all’interno di un circuito di turismo naturalistico, da cui i randazzesi si attendono molto, sottoforma di ricaduta economica. Nel lago Gurrida hanno riparo numerosissime specie di uccelli e animali acquatici che sono una delle componenti biologiche più minacciate dalla degradazione o dalla riduzione a ritmo sempre più alto di questi biotopi, dovuta a crescenti esigenze idriche per la collettività che inducono a nuove captazioni,  inquinamenti e drenaggi a scopo  di bonifica. La protezione di queste aree è utile e necessaria ai fini dell’equilibrio ecologico dei nostri territori.

          A pochi passi dal castello, si può guardare con stupore il palazzo reale, sede delle corti reali e ancora il complesso medievale di Via Orto e il palazzo Clarentano, sito lungo la strada Sottana e poi a pochi passi la chiesa di San Nicolò dove spicca la poderosa statua di “Randazzo Vecchio”, ovvero il gigante Piracmone, a cui sono stati attribuiti diversi significati più o meno verosimili. Nella stessa piazza di San Nicolò, si affaccia la piccola chiesetta di Santa Maria della Volta e ha inizio la Via degli Archi, una delle viuzze cittadine più suggestive che conduce in piazza Municipio, dove si erge il vecchio convento dei frati minori conventuali, oggi sede degli uffici amministrativi comunali.

          Scendendo da Piazza Municipio per la Via Umberto o strada Soprana, passando per il museo cittadino di Scienze Naturali, e per altre incantevoli stradine dove il tempo pare si sia fermato, si arriva a piazza Santa Maria, dove s’innalza al cielo la basilica dedicata alla Madonna, straordinario modello d’architettura religiosa che affonda le proprie radici molto indietro nel tempo, tanto da confondersi con la leggenda. Si narra, infatti, che la chiesa di Santa Maria, costruita nel XIII secolo, oltre a nascondere incalcolabili tesori, fu eretta anticamente nel luogo dove un pastorello scoprì, all’interno di una grotta, una fiammella ardente davanti all’immagine della Madonna che nessuno aveva visto prima. Da quì ebbe inizio la storia della chiesa di Santa Maria di Randazzo, edificata con imponenti blocchi di basalto dove, ci ricorda lo storico Antonio Filoteo degli Omodei, vi dimorava il “Dio di Randazzo”, una pregevolissima opera d’arte che rappresentava la crocefissione di Gesù.

          Tutti questi straordinari elementi che abbiamo passato in rassegna, ci dicono che il medioevo in questa cittadina è più vicino di quanto si possa immaginare e questo permette di leggere con chiarezza la sua vocazione volta al turismo culturale.

          Chi,  invece, è  amante degli aspetti agro-naturalistici non deve fare molta strada per immergersi nel verde a contatto con la natura.

          La vite è senz’altro la coltura più rappresentativa del panorama agrario locale.

          La proprietà fondiaria, dopo la decadenza delle grosse aziende latifondiste, si è andata sempre più contraendo, sino a diventare diffusamente frazionata da una moltitudine di piccoli poderi . Questo fenomeno, accentuato dall’apertura dell’economia locale verso altre forme di attività più redditizie e più dinamiche, ha alterato negativamente l’equilibrio tra popolazione e risorse agricole, già al limite del minimo sostentamento.

          Anche l’evento eruttivo del marzo 1981, oltre a creare paura e angoscia alla popolazione randazzese, ha contribuito ad allargare la grave ferita che pende sulla modesta economia di questa cittadina. Dopo una straordinaria sequenza di tremori, la terra si aprì sul versante settentrionale dell’Etna, a quota 1100 metri circa, da dove una spaventosa colata lavica, scaturita  da una bottoniera, coprì complessivamente circa 100 ettari di territorio. Nelle aree più a monte restarono inceneriti e sepolti in eterno oltre 112.000 piante di castagno, 37.000 di faggio, 36.000 di quercia e circa 12.000 di pioppo.

          Dopo avere fatto scempio di questi rigogliosi boschi, la lava ha proseguito verso valle il suo percorso di distruzione invadendo  il “cuore agricolo di Randazzo” . Questa vasta area raccoglieva tra le più belle strutture rurali, fiorenti frutteti e generosi vigneti che tanto orgoglio e sostentamento davano alla gente di Randazzo.

          Oggi è tutto perso; la madre natura ha ritenuto di stendere un triste velo nero su queste terre per consegnarle nei secoli alla infecondità, come mesto monito a testimonianza perenne della sua potenza.

          Questa terra contadina, oggi abbandonata, che un tempo pulsava di vita  e insieme all’abdicazione dei campi meno produttivi nelle zone più a monte, stringono il cuore dell’osservatore e lo riempiono di tristezza.

          La contemplazione di questo paesaggio rurale, per certi versi concesso all’oblìo, ne esalta le peculiarità naturalistiche integrali.

          Attraverso vecchi tracciati ci introduciamo in un’ambiente unico dove è possibile ammirare  queste contrade in parte scarsamente antropizzate che, paradossalmente, consente la conservazione  di rare documentazioni di vera cultura e tecnica rurale. Opere precarie ma resistenti alle cadenze cicliche dei tempi, costituite da  muretti di pietrame lavorato a secco, “torrette”[1] di pietre, vecchi fabbricati semidiroccati e fitti terrazzamenti a gradoni, sobrie strutture in muratura e pagliai in pietra[2] che, lasciateci in eredità dal tempo, si delineano in configurazioni geometriche,  rigorosamente equilibrate con l’ambiente circostante e testimoni di un passato agrario materialmente povero, ma dovizioso di dettagli architettonici  che ricordano altri tempi.

          Queste componenti contribuiscono a rendere più caratteristico e formidabile il proseguimento dell’itinerario il quale ci conduce con facilità, a seconda della scelta, presso i rigogliosi boschi dell’Etna e dei monti Nebrodi dove,  nel comprensorio territoriale di Pietre Bianche,  fanno da cornice veri e propri capostipiti della flora arborea presente nell’area. Uno di questi “grandi patriarchi” della vegetazione naturale presente su tutto il territorio, è il grande “faggio scuro”, ovvero uno splendido esemplare di faggio che da almeno 500 anni, resiste agli attacchi del tempo e dell’uomo. Per la sua centenaria età potrebbe raccontare la storia antica e recente di questo vasto comprensorio, i doviziosi intrecci con le popolazioni locali, sempre presente e testimone del passaggio di tante tradizioni, culture e civiltà che hanno contraddistinto in passato queste terre che si specchiano nel fiume Alcantara.

          Visitarlo è facile, il percorso inizia qualche metro prima di arrivare al bivio per la frazione di Flascio, lungo la SS.120 che da Randazzo conduce a Cesarò, dove vi è un breve spiazzo dal quale si inerpica  la regia trazzera  che attraverso l’estrema propaggine sud dei monti nebrodi porta a Floresta. Quasi al confine territoriale con l’ameno paese nebrodeo, ai bordi della  vetusta trazzera, vegeta il grande “faggio scuro”.

          In questi luoghi, dove è normale spostarsi senza fretta, lungo questi sentieri, dove non si conosce la voce dei motori e si sentono solo le voci del silenzio, si può scoprire l’anima di questa “terra pura” e  il resto del mondo sembra lontanissimo mentre una pace infinita accompagnerà l’escursionista in queste magnifiche aree boscate che conservano ancora qualcosa di magico e intatto, dove una flora e una fauna particolarmente ricche, evidenziano l’integrità dell’ambiente.

          Randazzo è uno straordinario museo all’aperto e pertanto basta guardarsi attorno per scoprire che ogni angolo, ogni strada, ogni piazza, ci parla di un passato d’arte che ha pochi uguali che, abbinati ad altre componenti di  natura paesaggistica e naturalistica, potrebbero finalmente dare delle risposte concrete alle attese economiche ed occupazionali dell’intera collettività, più volte rimasta come spettatrice stoica alla propria sorte, indifferente  ad uno sviluppo che tarda sempre ad arrivare.

                                                                                                         Vincenzo CRIMI

 

   [1] Cumuli di pietre provenienti dallo spietramento dei terreni coltivati.
   [2] Caratteristici capanni in pietra a forma di “trulli”.

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