Il territorio naturale di RANDAZZO

NOTIZIE DALLA PREISTORIA:

IL TERRITORIO NATURALE DI RANDAZZO E DELLE VALLI DELL’ETNA

Testo e ricerche bibliografiche a cura di Enzo Crimi – già Commissario Superiore del Corpo Forestale della Regione Siciliana, saggista, divulgatore ambientale e naturalista, esperto di problemi del territorio.

Se non avete avuto modo di assistere al “1° CONVEGNO DI STUDI CITTÀ DI RANDAZZO” e alla prima conferenza sulla preistoria, dal titolo “I più antichi abitatori del territorio di Randazzo”, che si é svolta Sabato 18 Marzo 2023 alle ore 17,30, presso il Centro Polifunzionale (ex Cinema Moderno) di Randazzo e se avete il desiderio di leggere per conoscere sin dagli albori la lunga storia naturalistica del territorio di Randazzo e delle Valli dell’Etna, vi propongo la lettura della mia relazione curata per quell’occasione. Aiutandomi con la letteratura di settore, non sempre univoca, ho tentato di tracciare un’intrigante viaggio esperienziale attraverso l’evoluzione delle prime forme di vita vegetale e animale che sin dalla sua formazione, si sono insediate in questo territorio. Appare utile ricordare che questa relazione è stata stilata con la consapevolezza che il lungo periodo non codificato e privo di riscontri tangibili, spesso non permette di illuminare a fondo la tematica, tanto da poterla considerare completa e affermata.

La storia naturalistica del territorio di Randazzo incomincia con quella dell’Etna e volendone esaminare ipoteticamente l’origine di quella storia si dovrà prima conoscere l’origine di questa. In questo convegno discuteremo dei primi abitatori di questo territorio, ebbene, anche questa mia illustrazione, è la storia delle prime forme di vita vegetale che hanno abitato queste terre. Nel territorio etneo, i beni naturalistici coesistono con il vulcano da oltre 500.000 anni, da quando i primordiali fenomeni naturali effusivi, iniziavano a dare vita a quello che sarebbe diventato l’Etna, il più grande vulcano d’Europa. Il territorio di Randazzo, ad eccezione dei monti Nebrodi che come sappiamo hanno un’altra genesi, è stato in gran parte forgiato dalla potenza dell’Etna che con le sue emissioni laviche, ha creato nei millenni un ambiente ricco di grande suggestione geologica, paesaggistica e nel tempo anche naturalistica. Nel corso di questi lunghissimi millenni di attività eruttiva dell’Etna, tutto il paesaggio di queste terre è stato plasmato dalla lava, dalla cenere e dai gas che inizialmente lo hanno reso desertico, desolato e naturalmente privo di vita. Ciò nonostante, dopo il caos vulcanico primordiale, la natura ha intrapreso lentamente il suo processo di vita e di conquista del territorio ancora oggi in itinere.

Insomma, la natura non si tira mai indietro di fronte ad una sfida, ha imparato ad adattarsi e sfruttare queste condizioni di vita precarie e risorgere sempre dalle sue polveri, questo grazie alla presenza di un prezioso elemento naturale: l’acqua, una sostanza adattabile all’origine di ogni esistenza. Tutta la vita dipende dall’acqua, ed in particolare da quella piovana che per legge di natura, inesorabilmente continua a cadere dal cielo bagnando e introducendosi tra le antiche e millenarie lave superficiali e mutando il loro aspetto da aride lande in bellezze esaltanti. E’ una sorta di continua lotta tra roccia e acqua che filtra attraverso i pori delle pietre laviche e dona vita ai licheni, che vengono trasportati dal vento che li sparge su tutto il territorio e li lascia introdurre in ogni piccola cavità e fessurazione delle lave, così da formare il primo strato del suolo. Organismi molto semplici come muschi, licheni e le felci che trattengono l’acqua un pò più a lungo, lentamente migliorano e risanano il terreno lavico, in modo che possano germinare i primi semi che daranno vita alle prime piante arbustive ed arboree, che formeranno i primi nuclei forestali.

I progressi naturali di nutrimento e riproduzione vegetale e i processi fotosintetici, certo hanno bisogno di secoli o migliaia di anni di lotta contro la dura roccia lavica, ma hanno permesso l’evoluzione vegetale. Come accaduto per l’Homo, l’evoluzione della vita vegetale, è partita da lontano e, tassello dopo tassello, ha portato alla luce le attuali piante, ognuna delle quali, perfettamente adattata a vivere nel proprio ambiente naturale e con le proprie diversità, ha contribuito al cambiamento di interi paesaggi. Le piante in principio sono solitarie, poi con il passare del tempo si evolvono si caratterizzano, una dopo l’altra si uniscono per formare veri e propri boschi, il luogo di nascita di altre forme di vita vegetale e animale. Il loro l’obiettivo è quello di moltiplicarsi, colonizzare e dominare la nera crosta lavica sulla quale esse sono nate, divenendo componenti fondamentali di quasi tutti i suoi ambienti e diminuendo drasticamente la formazione di CO2.

Studi recenti hanno dato una visione d’insieme riguardo l’evoluzione espansiva climatica, vegetazionale e anche faunistica del territorio siciliano e dunque, dell’Etna e dei Nebrodi. Queste ricerche, che certo andrebbero ancora approfondite, ci dicono che la nostra isola raggiunse gradualmente il suo culmine circa 10-15 mila anni fa e forse ancor prima, quando era coperta dal 90% di boschi e vegetazione minore che in seguito nel corso dei secoli, purtroppo si assottigliarono drammaticamente a causa dell’impatto antropico. Ci pervengono notizie storiche che prima ancora delle conosciute civiltà, le condizioni ambientali del nostro pianeta dovevano essere radicalmente diverse rispetto a quelle odierne, il mare era al di sotto della superficie attuale e l’estensione totale doveva essere maggiore. La nostra isola era verosimilmente connessa all’Italia peninsulare da una striscia di terra, insomma, una sorta di ponte continentale o una sella sommersa dello stretto di Messina come chiamato dagli studiosi e attualmente ad una profondità di 81 metri sotto il livello del mare, che emerse nel corso dell’ultima glaciazione e permise la variazioni del livello del mare e dunque, la possibilità del libero transito delle specie vegetali ma anche dell’Homo Sapiens di allora e delle faune continentali, alcune delle quali oggi estinte (ENEA – Incarbona A. et al.).

Come sappiamo, sin dalla Preistoria le piante hanno condizionato lo sviluppo di ogni forma di vita sul nostro pianeta, e anche sul nostro territorio, esercitando nei millenni una grande influenza sul progresso dell’umanità. Come noto, dalle piante si ricavava una parte importante dell’alimentazione, si otteneva il legno per il fuoco, per le abitazioni e gli strumenti, si ottenevano le fibre per corde e vestiti e persino per essenze medicinali. Anche oggi le piante assolvono a questi compiti e nel loro insieme sono essenziali per mitigare i devastanti cambiamenti climatici. In quei tempi il tipo di vegetazione preistorica presente sul nostro territorio, era composto da veri e propri fossili viventi e cambiava ciclicamente a seconda dei fattori locali come per esempio altitudine, precipitazione e presenza di microclimi. Oramai è cosa certa che nelle aree più in quota sopra di 1200 m s.l.m. e precisamente nelle regioni montane dell’Etna e dei Nebrodi, la vegetazione era presumibilmente costituita da foreste di faggio, frammiste al pino, querce e altre caducifoglie intercalati a formazioni arbustive.

Nelle aree più interne e sub-montane la copertura arborea era caratterizzata da una forte prevalenza di querce, mentre nelle zone costiere si sviluppava la macchia mediterranea, per trasformarsi in seguito negli anni (a partire da circa 7.000 anni fa) a vere e proprie foreste di alberi sempreverdi. La macchia mediterranea è una formazione vegetale, rappresentativa del clima termomediterraneo, delineata dal corbezzolo, lentisco, tamarice, ginepro, erica, cisto, ginestra, fillirea, rosmarino, euforbia e altre ancora. In queste aree costiere le piante sempreverdi resistettero fino a circa 2.700 anni fa, quando avvenne la definitiva trasformazione sino ai giorni nostri in macchia mediterranea forse a causa della forte pressione antropica. Voglio aggiungere che nel versante orientale della nostra isola, la macchia mediterranea è alquanto regredita, infatti, ha una limitata distribuzione concentrata su alcuni sottobacini dell’Alcantara e rappresenta appena il 3% della sua consistenza vegetazionale generale di bacino. Nel periodo preistorico i fiumi avevano un corso molto variabile, con piccoli canali intrecciati e alvei pietrosi, simili a quelli di alta montagna. Colonizzando la terraferma, le piante hanno progressivamente stabilizzato i corsi d’acqua fino a conferirgli le forme che sono molto comuni ai giorni nostri. Anche il territorio fluviale dell’Alcantara era ben ricco di rigogliosa vegetazione vascolare quali platani, aceri, pioppi, olivastri e una rigogliosa vegetazione minore arbustiva e acquatica. Questi insediamenti sono oggi di minore consistenza, ciò dovuto in particolare all’ampliamento della superficie agricola che include anche vigneti e pascoli.

Attualmente quel famoso 90% di cui abbiamo accennato prima, pian piano a partire dall’insediamento delle prime conosciute civiltà, si è ridotto drasticamente, in parte per la progressiva riduzione delle precipitazioni e aridificazione dei suoli, ma anche per gli incendi e per le colate laviche che nel territorio etneo sono determinanti. Come dicevamo, a queste carenze influisce il forte impatto antropico dei primi consistenti insediamenti greci e a seguire romani, bizantini e le varie civiltà che nel corso dei secoli si erano installati su queste terre a fini agricoli e di allevamento, ma anche per l’abbondanza di acqua e boschi e dunque legname che utilizzavano per usi civili e bellici. Insomma, la presenza umana sembra essere stato il fattore principale nel modellamento non sempre benefico dell’attuale distribuzione della vegetazione in Sicilia. Dobbiamo dire che queste massicce deforestazioni , sono state e lo sono ancora, una piaga globale e comunque, furono certamente i presupposti principali nel cambiamento del paesaggio e della vegetazione, perchè apportarono robusti mutamenti e deleterie conseguenze agli habitat di tutto il mondo. Mi viene pensare l’Amazzonia, il polmone verde del pianeta, oggi preso d’assalto dalle multinazionali del legno responsabili della scomparsa delle foreste pluviali e della degradazione degli ecosistemi naturali.

Ritornando al nostro territorio, io penso che senza l’intervento dell’uomo nel corso dei secoli , l’aspetto della vegetazione nella nostra isola in generale, forse sarebbe molto diverso ed ancora, in modo sostanziale caratterizzato dalla presenza di boschi e foreste che si estendevano sino al mare. Dopo le gravi perdite di biodiversità del periodo post-industriale, avvenute a causa delle attività umane (cambiamenti climatici, inquinamento, deforestazione, incendi e agricoltura non sostenibile), per come emerge dall’ultimo Inventario Nazionale Forestale, attualmente il patrimonio forestale italiano é in espansione di circa 600.000 ettari . In Italia ci sono in totale circa 13 miliardi di alberi, pari a oltre 1200 alberi ad ettaro, che ricoprono oltre 1/3 dell’intero territorio nazionale, pari a oltre 200 alberi per ogni abitante. Nel 2005 gli alberi erano complessivamente circa 12 miliardi e nel 1985 erano circa 10 miliardi.

Il territorio di Randazzo, grazie ai piani di rimboschimento pubblici ma anche ad una sensibilità ambientale più progredita, detiene oggi una copertura arborea totale di circa 9.000 Ha. che è superiore alla media nazionale. Questi boschi nostrani sono ricadenti quasi per intero all’interno delle aree protette e di questi circa 6.000 Ha. sono di proprietà pubblica e oltre 2.500 Ha. sono coltivati a fustaia. La tipologia più rilevante è composta da querceti montani per circa 1.500 Ha.- Attualmente, malgrado il forte impoverimento del passato, anche la fauna può considerarsi molto accresciuta e ben distribuita, tanto da ricostituire l’equilibrio naturale. Secondo studiosi di settore, nei secoli scorsi vivevano all’interno dei nostri boschi persino Lupi, Lontre, Caprioli, Cinghiali, Daini, Grifoni e Cervi, dai quali, in greco antico, deriva il nome dei Nebrodi, ovvero “Nebros” che significa cerbiatto. Questi animali, per vari motivi, sono oramai scomparsi dal panorama faunistico dei Nebrodi. Nel Paleolitico, tra gli altri, vivevano anche animali come l’ippopotamo e l’elefante nano, oramai tutti estinti. In modo uniforme o variabile, le presenze faunistiche e botaniche, sono oggi costituite dalle tipologie biologiche che rappresentano un pò tutta la biodiversità tipica e comune in tutto il bacino del Mediterraneo. Queste dotazioni contribuiscono a fare di questi territori delle valli dell’Etna, degli ecosistemi veramente importanti, tantè che si trovano all’interno di ben 3 Parchi naturali. Insomma, ci troviamo a gestire una ricchezza naturalistica della collettività, che va difesa costantemente dalle insidie che non di rado la minacciano.

Concludo ricordando che amare la Natura come espressione di questi territori, non deve essere semplicemente una passione emozionale o una tendenza massiva momentanea e nemmeno basta una fruizione per puro svago o appagamento dello spirito, insomma, il rapporto con la Madre Natura deve essere sincero ed in particolare proteso alla sua salvaguardia, valorizzazione e diffusione ecosostenibile… sempre!